L’Italia può beneficiare del “rinascimento” nucleare

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L’Italia può beneficiare del “rinascimento” nucleare

21 Febbraio 2009

Dopo una stasi protrattasi per oltre un ventennio, le prospettive dell’energia nucleare stanno riprendendo quota, al punto che si parla di un vero e proprio «rinascimento». Questa ripresa dipende da diversi fattori: la fluttuazione drammatica del prezzo del petrolio, la riduzione delle riserve energetiche, i cambiamenti climatici, l’inquinamento; tutti elementi che rendono inevitabile l’impiego di un “mix” di fonti energetiche, da cui la componente nucleare non può essere esclusa.

Ma il futuro dell’energia nucleare è collegato anche a fattori diversi da quelli energetici ed ambientali: la sicurezza delle centrali, i rischi della proliferazione nucleare e la stabilità politica in generale, che è fortemente legata alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici. Non basta scegliere gli impianti più avanzati, individuare le località più appropriate, studiare le migliori soluzioni al problema delle scorie. Occorre anche creare, attorno all’energia nucleare, un clima di fiducia sul piano politico e psicologico. Le centrali nucleari si trovano al primo posto tra le cosiddette “infrastrutture critiche” da proteggere da attacchi di altri stati o di gruppi terroristici; non mancano i precedenti di azioni di questo tipo.

La protezione e la sorveglianza vanno affiancate ad impegni internazionali volti ad assicurare l’incolumità degli impianti, ma anche a prevenire la minaccia della proliferazione nucleare. Occorre scongiurare non solo il trauma di nuovi disastri ambientali, ma anche lo scenario, paventato dal Presidente Kennedy già negli anni 60, di decine di paesi in possesso dell’arma nucleare – il cosiddetto “Kennedy nightmare”. Una prospettiva di tal genere accrescerebbe il rischio di un conflitto nucleare e comprometterebbe le possibilità di un rilancio duraturo dell’energia nucleare, anche in relazione al “peccato originale” derivante dal primo uso del nucleare, avvenuto per scopi bellici.

Questo tema, insieme a quello del ruolo dell’industria in questo campo, sono stati al centro di due interessanti conferenze, promosse su iniziativa del Ministero degli Affari Esteri, tenutesi di recente rispettivamente ad Erice, in collaborazione con il Centro Ettore Majorana, e a Washington, in collaborazione con la Brookings Institution.

La conferenza di Washington ha confermato l’attenzione che le industrie di alcuni paesi già dedicano ai problemi della proliferazione, allo sviluppo delle c.d. tecnologie “proliferation resistant” e all’esigenza di stabilire un clima politico propizio allo sviluppo dell’energia nucleare.

L’attenzione dei governi e delle organizzazioni internazionali, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) in primis, è ormai da anni concentrata sulle tecnologie sensibili collegate con il ciclo del combustibile nucleare di cui l’arricchimento dell’uranio ed il riprocessamento per la produzione del plutonio costituiscono gli aspetti più delicati.

L’arricchimento dell’uranio, il processo che viene oggi contestato all’Iran, può servire sia per alimentare le centrali nucleari civili sia per costruire l’arma nucleare. La differenza sta solo nel livello di arricchimento, che è intorno al 4% per il civile e all’85% per il militare. La tecnologia è sostanzialmente la stessa. Ma per l’arma atomica il processo di centrifugazione che serve per arricchire l’uranio ha una durata molto maggiore.

L’arricchimento e il riprocessamento non sono proibiti dal Trattato di Non Proliferazione nucleare (Tnp), che proibisce la proliferazione, promuove il disarmo, sancisce il ”diritto inalienabile” all’energia nucleare, costituendo uno dei pilastri della pace e della sicurezza internazionale. Al Tnp hanno aderito ormai quasi tutti i paesi; mancano all’appello l’India, Israele e il Pakistan. La Corea del nord si è recentemente ritirata.

Visto il prevedibile accrescimento della domanda di materiale fissile (soprattutto di uranio arricchito) collegato con il rilancio del nucleare, e data la pericolosità di tali materiali, si cerca oggi di scoraggiare l’acquisizione diffusa di tali capacità da parte degli stati e degli “attori non statuali”. Sono emblematici i casi dell’Iran e della Corea del nord. Ma anche altri stati sono in possesso, o sono interessanti a tali tecnologie e sono riluttanti a rinunciarvi.

Prima di intraprendere o riprendere la strada dell’energia nucleare, le industrie di ciascuno stato devono valutare con la massima attenzione la capacità di rifornirsi di uranio arricchito o altri combustibili nucleari. Una capacità autonoma di produzione dell’uranio arricchito a scopi civili si giustifica di norma sul piano economico solo nel caso del possesso di una “massa critica” di circa 15 centrali nucleari. Anche in questo caso il numero di paesi dotati di tale capacità è molto ristretto. L’Iran possiede una sola centrale, non ancora operativa, fornita dalla Russia ed è obbligato per contratto ad approvvigionarsi di uranio arricchito solo dalla Russia e a restituire a quest’ultima il combustibile spento. Il programma di arricchimento dell’uranio sviluppato da Teheran non si giustifica pertanto sul piano energetico e finanziario.

Varie formule sono state proposte per indurre gli Stati non militarmente nucleari ad astenersi dalla produzione autonoma dell’uranio arricchito o del plutonio. Per convincerli sarà necessario assicurare la certezza dei rifornimenti (si parla di una possibile “Banca” internazionale del materiale fissile) e lasciare aperta la possibilità di produrre del materiale fissile collettivamente assieme ad altri paesi (è questo il caso del gruppo Urenco, gestito congiuntamente da Germania, Paesi Bassi e Regno Unito). È assai significativo al riguardo un recentissimo accordo nucleare tra Stati Uniti e gli Emirati Arabi Uniti (Eau) in virtù del quale questi ultimi, per ottenere la collaborazione degli americani hanno rinunciato alle opzioni dell’arricchimento e del riprocessamento. Per convincere altri paesi a seguire l’esempio degli Eau, sarebbe auspicabile che gli Stati militarmente nucleari, a loro volta, rinunciassero alla produzione di materiale fissile a scopi militari, impegnandosi attivamente nel negoziato sul Trattato Fmct (“Fissile Material Cut Off Treaty”) in corso a Ginevra.

Il ritorno all’energia nucleare pone dunque la necessità, anche per l’industria, di dedicare un’attenzione accresciuta ai temi della proliferazione e del disarmo nucleare, degli approvvigionamenti di materiale fissile, delle salvaguardie dell’Aiea, che hanno tutti un impatto diretto sull’impiego dell’energia nucleare.

Il caso italiano
Non vi è termine più appropriato di quello di “rinascimento” per qualificare l’annunciata ripresa del programma nucleare civile in Italia. Unico paese ad aver preso alla lettera l’impegno unilaterale alla rinuncia all’energia nucleare dopo l’incidente di Cernobyl del 1986, l’Italia ha ora deciso di riprendere il filo di un programma che negli anni 50 e 60 era assai avanzato. La proliferazione costituisce un tema centrale per il G8. L’Italia si troverà dunque quest’anno a guidare deliberazioni al più alto livello in un settore di estrema sensibilità strategica.

Fortunatamente tali temi non sono mai stati persi di vista dal governo italiano nonostante la chiusura delle nostre centrali. L’Italia, oltre a promuovere i convegni già citati e ad impegnarsi nel G8, è stata negli ultimi anni in prima linea nell’affrontare questi argomenti nel quadro europeo (la Strategia dell’Unione Europea nel campo delle proliferazione delle armi di distruzione di massa fu varata nel 2003 sotto la Presidenza italiana dell’Ue), nell’ambito delle Nazioni Unite (l’Italia ha coordinato a Ginevra le iniziative sulla proibizione della produzione di materiale fissile a scopi militari), come anche nel processo applicativo del Tnp. La gestione del “ciclo del combustibile” costituisce uno dei temi centrali sviluppati dall’Advisory Board per gli affari del Disarmo istituito dal Segretario Generale dell’Onu nel quale il nostro paese è rappresentato.

Mentre per la maggioranza dei paesi il rilancio del nucleare consiste nella ripresa di attività già in corso, il ritorno al nucleare in Italia offre l’opportunità effettiva di un “rinascimento” che coinvolga il sistema paese nella sua globalità. Come avvenne negli anni 60 e 70, quando – per sviluppare l’industria nucleare – l’Italia decise di aderire al Tnp, occorrerà associare le capacità di eccellenza del settore scientifico-industriale e della diplomazia, in uno sforzo congiunto che risponda ad interessi di natura politica internazionale, ma anche ad esigenze di ordine industriale. Nonostante una pausa quasi generazionale, si è riusciti mantenere il filo di un “know how“ tecnologico/industriale, di esperienze e di contatti internazionali che consentono di affrontare con fiducia tale nuova sfida.

© AffarInternazionali

Carlo Trezza, già Ambasciatore d’Italia a Seoul e presso la Conferenza del Disarmo a Ginevra è ora Consigliere diplomatico presso il Centro Alti Studi della Difesa e membro dell’Advisory Board del Segretario Generale delle Nazioni Unite per gli Affari del Disarmo.