M.O. Frattini alla tv israeliana: “Attaccare l’Iran sarebbe una catastrofe”
24 Novembre 2010
di redazione
"Un attacco israeliano alle infrastrutture nucleari iraniane rischierebbe di avere conseguenze catastrofiche non solo per lo stesso Israele, ma per il mondo intero". E’ il monito lanciato dal ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, in un’intervista alla televisione commerciale israeliana Canale 10 mandata in onda stasera poche ore dopo la conclusione di una visita di 3 giorni del titolare della Farnesina nella regione.
Rispondendo a una domanda che implicitamente evocava lo scenario dell’azione militare, Frattini ha affermato: "Se vi riferite a un attacco preventivo, io vi dico che un’opzione del genere sarebbe catastrofica. Porrebbe certamente Israele come obiettivo primario e metterebbe a rischio tutto il mondo". "Quello che è necessario fare – ha proseguito il ministro – è invece attenersi alle sanzioni e attuarle secondo quanto è stato deciso".
Durante il suo viaggio, il responsabile della diplomazia italiana ha fatto un appello per l’alleggerimento del blocco della Striscia di Gaza: "E’ stato un primo passo importante, ma non basta. Israele dovrebbe fare di più", ha affermato Frattini. Deciso a lanciare anche un appello pubblico per la liberazione del militare israeliano Ghilad Shalit nel luogo in cui si presume sia tenuto in ostaggio da oltre 4 anni. Ma anche a rendersi conto di persona della situazione e delle necessità dell’enclave palestinese tagliata fuori dal resto del mondo (con il suo milione e mezzo di stipatissimi abitanti) fin da quando, nel 2007, gli islamico-radicali di Hamas ne presero il pieno controllo sull’onda di una prova di forza.
Il corteo preceduto dal tricolore passa attraverso il valico di Eretz una decina di minuti dopo la raffica che – si verrà a sapere più tardi – dalle torrette israeliane ha ferito a ridosso di quel medesimo passaggio un palestinese intento come tanti altri a rovistare pezzi di asfalto e di cemento fra le macerie di qualche guerra fa. Un’immagine evidente dei bisogni della gente di quaggiù, in un panorama che Frattini definisce di lì a poco di "disagio, grande povertà e debolezza". "Da giugno c’è stato un moderato aumento di merci", rimarca al termine di un giro di poche ore punteggiato dalla visita a un ospedale di Gaza City e a una scuola femminile di Beit Lahia, entrambi gestiti dall’Unrwa (l’agenzia dell’Onu che si occupa dei profughi palestinesi) e sostenuti anche dalla cooperazione italiana.
Il riferimento è all’allentamento delle restrizioni via terra introdotto da Israele dopo le polemiche seguite all’abbordaggio della Freedom Flotilla. Ma questo aumento – puntualizza Frattini – "non è abbastanza". Prima del suo ingresso nella Striscia, il generale Eitan Dangot – coordinatore delle attività israeliane nei Territori palestinesi – lo ha ragguagliato sul punto di vista della propria parte. Sottolineando che il numero dei mezzi autorizzati a entrare nella Striscia con merci e beni vari è salito fino a 250 al giorno, con la possibilità di arrivare a "400 entro gennaio".
Frattini chiede tuttavia che sia consentito un maggiore "accesso ai materiali da costruzione". Le cifre indicate da Dangot "sono un primo passo", dice da Beit Lahia, ma quelle necessarie per rispondere alla fame di case e di scuole sono "superiori". Servono ad esempio almeno "100 scuole i cui progetti la comunità internazionale è pronta a sostenere, ma finora ne sono stati approvati solo 7", osserva, invocando "un equilibrio fra le legittime esigenze dei controlli di sicurezza (riconosciute più tardi anche a Sderot, la cittadina israeliana bersaglio di ripetuti lanci di razzi dalla Striscia) e l’aumento del flusso dei materiali".
Un altro punto nodale riguarda la ripresa di un export da tempo agonizzante: dalla frutta, ai mobili, ai tessuti. "Oggi è il primo giorno di esportazione di fiori e fragole verso l’Olanda" nell’ambito di un singolo accordo autorizzato da Israele, rivela Frattini, ma anche su questo punto ci sarebbe bisogno di ben altro: "Occorre che le esportazioni dalla Striscia di Gaza vengano smaltite nella regione, in primo luogo in Cisgiordania". Parole condivise in toto dal commissario generale dell’Unrwa, l’italiano Filippo Grandi, che le corrobora tracciando un quadro d’insieme assai meno ottimistico di quello evocato dalle autorità militari israeliane. Secondo Grandi, l’emergenza casa, nella Striscia di Gaza, si traduce oggi in un deficit di 90.000 alloggi, alcuni da costruire ex novo, altri da ricostruire dopo le devastazioni dell’offensiva Piombo Fuso di quasi due anni fa: mentre l’allentamento del blocco annunciato da Israele ha consentito finora il via libera a non più di 700 progetti. Quanto alle scuole, il commissario sottolinea che già oggi gli istituti gestiti dall’Onu sono costretti a formare classi di 50 allievi e avverte che se non si apriranno nuove scuola l’anno prossimo potrebbero restare senza istruzione ben "40.000 ragazzi".
Neppure sul fronte alimentare mancano le ombre. Grandi conferma che a Gaza non c’è la fame, ma spiega che circa un milione di persone su un milione e mezzo è costretta a ricorrere all’assistenza della stessa Unrwa o del Pam per mangiare. Un tasso di aiuto alimentare che le potenzialità della Striscia non giustificherebbero in alcun modo. Un livello – sospira il funzionario – "degno della Somalia".