Mafia. Arrestate 13 persone legate al boss Messina Denaro
16 Giugno 2009
di redazione
Favorivano i contatti fra il boss latitante trapanese, Matteo Messina Denaro, e alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra palermitana, fornendogli pure falsi documenti. Per l’accusa sono i componenti di una fitta rete di favoreggiatori che da anni copre il capomafia di Trapani, accusato di omicidi e stragi, ricercato da 16 anni, che avrebbe coperture anche a Roma. Per questi fatti gli agenti del Servizio centrale operativo (Sco) e delle Squadre mobili di Trapani e Palermo hanno eseguito 13 ordini di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del tribunale di Palermo. I provvedimenti sono stati richiesti dal procuratore aggiunto Teresa Principato e dai sostituti della Dda, Paolo Guido, Roberto Scarpinato e Sara Micucci, e sono stati eseguiti nelle province di Trapani, Palermo, Roma e Piacenza. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, traffico di stupefacenti e trasferimento fraudolento di società e valori. Vengono colpiti i mandamenti mafiosi di Trapani e Castelvetrano, riconducibili a Matteo Messina Denaro. Nell’operazione sono impegnati oltre 300 uomini della polizia di Stato. L’operazione viene denominata "Golem".
Nella rete di favoreggiatori che avrebbe coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro vi è anche un cugino del boss trapanese ricercato da 16 anni. Uno dei provvedimenti cautelari dell’operazione "Golem" riguarda anche lui. L’uomo, secondo gli inquirenti, avrebbe anche imposto il pagamento di tangenti ad imprenditori. Dall’inchiesta emerge inoltre la scoperta di un traffico di droga tra Roma e il territorio trapanese organizzato dalle famiglie mafiose, i cui componenti agivano in nome e per conto di Messina Denaro. Oltre all’esecuzione dei 13 ordini di custodia cautelare, gli investigatori della polizia di Stato stanno provvedendo anche al sequestro di beni riconducibili all’organizzazione.
Il boss Matteo Messina Denaro non ha mai incontrato personalmente i mafiosi palermitani Sandro e Salvatore Lo Piccolo, agli incontri con loro il capomafia trapanese inviava sempre un suo "ambasciatore", Franco Luppino, arrestato stamani dalla polizia. Il latitante, insomma, da quanto emerge dall’inchiesta della Dda di Palermo, non voleva avere contatti diretti con i Lo Piccolo che nel frattempo stavano avanzando su tutta Palermo. Forse perchè non li riteneva ancora al suo livello nella scala gerarchica di Cosa nostra. Luppino, insieme a Leonardo Bonafede, anche quest’ultimo arrestato stamani, sono elementi di vertice della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, e forse gli uomini di cui Matteo Messina Denaro si fidava maggiormente. Gli indagati, infatti, avrebbero gestito la latitanza del boss, controllando anche gli affari illeciti nel trapanese, mettendo le mani su varie attività economiche e su fondi regionali. In questi affari sarebbe stata coinvolta anche la moglie di Luppino, Lea Cataldo, arrestata. Il boss controllava anche un vasto traffico di droga che arrivava settimanalmente da Roma, gestito da Domenico Nardo, Franco Indelicato e Leonardo Bonafede.