Mafia. Mercadante condannato a 10 anni e 8 mesi, era il medico dei boss
28 Luglio 2009
di redazione
Per il Gip che, nel 2006, ne ordinò l’arresto, sarebbe stato tanto vicino al capomafia Bernardo Provenzano da far parte di "una Cosa sua", più che di Cosa Nostra. Un’espressione che dà l’idea dello stretto legame che univa il padrino di Corleone a Giovanni Mercadante, il medico eletto all’Assemblea Regionale Siciliana nelle fila di Forza Italia, oggi condannato per mafia a 10 anni e 8 mesi.
La sentenza è stata pronunciata dai giudici della II sezione del tribunale di Palermo poco prima delle 2 di notte, dopo oltre 17 ore di camera di consiglio. Radiologo, 61 anni, parente dello storico boss di Prizzi Tommaso Cannella, Mercadante sarebbe stato medico di fiducia delle cosche e punto di riferimento dei boss nel mondo della politica. Indagato già in passato, la sua posizione venne archiviata per due volte. Poi, nel 2006, la svolta nell’inchiesta e l’arresto.
A carico dell’ex deputato, alle accuse dei pentiti, si sono aggiunte le intercettazioni ambientali realizzate nel box del capomafia Nino Rotolo, luogo scelto dai clan per i loro summit. Nei colloqui, registrati per oltre un anno, il nome di Mercadante è emerso tante volte, collegato sempre ad affari illeciti. Per i pm Nino Di Matteo e Gaetano Paci, l’ex parlamentare azzurro sarebbe stato "pienamente inserito nel sodalizio criminoso".
Una conclusione riscontrata anche dalle testimonianze di numerosi collaboratori di giustizia: da Nino Giuffrè ad Angelo Siino e Giovanni Brusca. Giuffrè racconta di essersi rivolto al medico, su indicazione dello stesso Provenzano, per fare eseguire alcuni esami clinici al latitante agrigentino Ignazio Ribisi. Siino parla del professionista come di "uno dei più grossi favoreggiatori" del padrino di Corleone; Brusca lo definisce "persona disponibile".
Per gli inquirenti, il medico-politico avrebbe anche fornito "il proprio ausilio e la disponibilità della struttura sanitaria della quale era socio (l’Angiotac, ndr) per prestazioni sanitarie in favore degli associati mafiosi, anche latitanti, e la redazione di documentazione sanitaria di favore, ricevendo, in cambio, l’appoggio elettorale di Cosa nostra in occasione delle regionali in cui era candidato". E un ruolo strategico in Cosa nostra avrebbe avuto anche uno degli otto coimputati di Mercadante, Nino Cinà, oggi condannato a 16 anni, l’uomo dei tanti misteri, della presunta trattativa tra Stato e mafia: reggente del mandamento di Resuttana, sarebbe stato "mediatore e pacificatore".
Tra le stragi del ’92, prima; poi, nel 2005, quando avrebbe tentato di evitare lo scontro fra le cosche a seguito del rientro dei cosiddetti "scappati", i mafiosi esuli negli Usa dai primi anni ’80 per sfuggire alla mattanza dei corleonesi. Medico di Totò Riina e di Bernardo Provenzano, Cinà è già stato condannato due volte per associazione mafiosa: "Ma le condanne e la detenzione – secondo i magistrati – non hanno interrotto la sua partecipazione alle attività mafiose".
Tra gli imputati condannati, anche il boss di Torretta, Lorenzino Di Maggio, ritenuto vicino ai capimafia palermitani Sandro e Salvatore Lo Piccolo; Bernardo Provenzano, accusato in questo processo di tentata estorsione. Assolto, invece, Marcello Parisi, figlio di Angelo Parisi, ritenuto vicino al capomafia Nino Rotolo. Secondo la Procura la sua candidatura al Consiglio comunale di Palermo sarebbe stata sponsorizzata da Rotolo e Cinà che si sarebbero rivolti per un appoggio politico proprio a Mercadante.
Ma i giudici non hanno ritenuto sufficienti le prove portate a suo carico dai pm. Nel processo scaturito dall’operazione Gotha, che portò all’arresto di colonnelli e gregario di Bernardo Provenzano, accanto ai vertici delle cosche, c’erano anche quattro commercianti palermitani: accusati di avere negato le richieste di pizzo. Solo uno di loro è stato condannato.