Meglio un bella e tosta congiura che una fine “per caso”

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Meglio un bella e tosta congiura che una fine “per caso”

12 Ottobre 2011

Silvio Berlusconi ha impartito l’ordine di scuderia per derubricare la bocciatura dell’articolo 1 del rendiconto di bilancio a mero incidente senza risvolti politici. Ma non è certo che questa sia davvero una consolazione.

Non c’è nulla di confortante nell’idea che la  decennale parabola berlusconiana venga bruscamente interrotta “per caso”, “per sbaglio” o peggio per un “pasticcio”, come oggi i giornali amici provano a minimizzare la vicenda.

Se si guarda all’era Berlusconi sine ira ac studio e ci si rende capaci di valutarla nella sua intera lunga prospettiva, non si può non riconoscere che essa ha rappresentato un profondo cambiamento del paese e non solo del suo mondo di riferimento. La direzione di questo cambiamento può risultare incompleta, può non piacere ad alcuni o a molti, ma certo non si può dire che sia stato tutto per il peggio. Si è trattato di un movimento profondo di cui Berlusconi ha saputo comprendere e intercettare la forza, ma che era inscritto nel dna della società italiana e aspettava solo un catalizzatore per potersi dispiegare.

Se tutto questo finisce per sbaglio, per un incidente, allora finisce male, finisce nel modo peggiore. Il fatto che il  voto di ieri alla Camera mostri l’assenza di una intenzione, di un progetto anche scellerato, di un coordinamento purchessia, della fosca nobiltà di una congiura, rivela non tanto la crisi del premier – che pure c’è – ma uno scenario in cui il “nuovo” marcisce prima ancora che il vecchio sia consumato.

Probabilmente i “congiurati” che oggi i quotidiani mettono in croce con schemini e grafici, regalando loro una dignità sistemica che non hanno, non si erano neppure sentiti per telefono. Non sapevano l’uno della defezione dell’altro. Ognuno beatamente pensava di mandare il suo proprio segnale, sparato a vanvera sul Parlamento già moribondo, senza pensare alle conseguenze dell’accumulo. Ognuno voleva farsi sottilmente avvertire come un rischio incombente, come un voto in libertà, come una minaccia pronta ad esplodere. Ognuno con già in serbo la sua scusa miseranda pronta ad essere vantata nel quotidiano ammiccamento con i giornalisti. Invece la bomba è esplosa tutta insieme nel modo più rozzo e plateale possibile. Le tante schegge impazzite – come in un cinematografico rewind – si sono trovate ricongiunte in un’unica esplosione senza neppure comprendere come fosse potuto accadere. E ora sono terrorizzati e smarriti come bambini che, dai e dai, hanno rotto il bel giocattolo. 

Un po’ come se il Gran Consiglio si fosse svolto al bar dell’angolo e Grandi avesse firmato l’ordine del giorno pensando che fosse la lista della spesa. Scajola è riuscito a far cadere il governo ma – giura – a sua insaputa; Bossi ha fatto tardi con gli odiati cronisti; Tremonti lavorava alla legge sulla stabilità e sognava la teoria del caos; i responsabili facevano gli affari loro in beata ignoranza: tutti all’insegna del “mi si nota di più se vado o se non vado?”.

Da settimane Giuliano Ferrara parlava del rischio di una “fine ingloriosa” per Berlusconi, per il  governo, del berlusconismo, per il centro-destra e prescriveva “sangue di leone e bistecche di tigre” per evitarla. Ma alla fine il piatto forte era solo spezzatino di coniglio.