Napolitano parla di giustizia e sembrano picconate

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Napolitano parla di giustizia e sembrano picconate

18 Dicembre 2008

Ma le avete lette le parole di Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica, in occasione degli auguri alle "Alte Magistrature della Repubblica"? L’intero discorso è degno di nota, ma in particolare la parte dedicata ai problemi della giustizia e della magistratua risuona con un severità e un’affilatezza senza precedenti.

Lo riportiano qui di seguito con alcuni passaggi evidenziati, tanto per essere più chiari.

"Si pongono con urgenza anche problemi di equilibrio istituzionale, nei rapporti tra politica e giustizia, ed esigenze di misure di riforma, volte a scongiurare eccessi di discrezionalità, rischi di arbitrio e conflitti interni alla magistratura nell’esercizio della funzione giudiziaria, a cominciare dalla funzione inquirente e requirente. Misure di riforma che riguardino anche la migliore individuazione e il più corretto assolvimento dei compiti assegnati al Consiglio Superiore della Magistratura dalla Carta costituzionale. Misure, nello stesso tempo, di fermo richiamo a criteri di comportamento come quelli relativi al riconoscimento effettivo dei poteri spettanti ai capi degli uffici, o come quelli relativi ai limiti da osservare – e troppo spesso violati – nella motivazione dei provvedimenti giudiziari, o più semplicemente quelli attinenti a un costume di serenità, riservatezza ed equilibrio, nel rigoroso rispetto delle regole, che non può essere sacrificato all’assunzione di missioni improprie e a smanie di protagonismo personale. Si tratta di aspetti più volte toccati e sviluppati dinanzi al CSM, ed emersi clamorosamente nel recentissimo scontro tra due Procure della Repubblica, con un vero e proprio "cortocircuito istituzionale e giudiziario", a cui ho sentito il dovere di reagire intervenendo nella mia qualità di Capo dello Stato, senza alcuna propensione a improprie invadenze".

Neppure Cossiga, nella fase più acuta delle sue picconate, era stato così spietato nell’analizzare le deviazioni della magistratura: eccessi di discrezionalità, rischi di arbitrio, conflitti interni, limiti violati nella motivazione dei provvedimenti, missioni improprie, smanie di protagonismo personale. Cos’altro deve dire un presidente della Repubblica per segnalare l’allarme sociale e istituzionale che tutto questo comporta?

Eppure non sembra che la politica, assordata dal tintinnio delle manette, abbia colto a pieno il messaggio di Napolitano. Berlusconi sembra uscire con fatica dallo stato di euforia in cui le inchieste contro il centro-sinistra lo hanno confinato. Ma soprattutto Veltroni  non capisce che quelle parole sono la sua ancora di salvezza, l’indicazione riformista da seguire. Mentre sembra prevalere in lui la tentazione per quella sorta di "golpe generazionale" che da tempo gli suggerisce Goffredo Bettini.

Di quelle parole invece di è ben accorta Repubblica, l’organo delle procure,  che le ha trattate in un imbarazzato articolo di Massimo Giannini, "Il presidente scende in campo" che sembra alludere, sin dal titolo,  alla "scesa in campo" di Berlusconi, quasi a mettere sullo stesso piano i due momenti. Giannini parla di un "intervento irrituale" (?) e ne sottolinea passo passo l’eccezionalità. Per finire di nuovo con Berlusconi. Spiega infatti l’autore che le parole del Presidente possono essere un’opportunità per le riforme ma anche "un grande rischio perchè le tentazioni del Cavaliere nella sua guerra privata alle toghe sono imprevedibili"

Napolitano ha detto invece il contrario: nelle disfunzioni delle "toghe" non c’è proprio niente di privato.