Nel 2011 esplose la contraddizione nel centrodestra

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Nel 2011 esplose la contraddizione nel centrodestra

26 Agosto 2014

Forza Italia continua a recriminare sulla crisi che, nell’autunno del 2011, mise fine al governo di centro destra. Un’operazione che viene descritta come un complotto ordito ai danni della nostra democrazia, frutto di manovre oscure di poteri forti (italiani ed europei) coalizzati contro un governo confortato dal voto popolare. Per fare chiarezza su quanto sarebbe avvenuto tre anni fa si propone la nomina di una commissione d’inchiesta.

Si potrebbe rubricare questa uscita come una delle tante polemiche agostane destinate a rimanere senza seguito; polemiche utili ad agitare la piazza languente, a rincuorare i fedelissimi per rinsaldarne le fila, ma prive di vero significato politico e perciò non meritevoli di alcun commento. Pure, il tema merita una breve messa a punto perché quella vicenda segna un punto di crisi della politica italiana, che va valutato con freddezza, per meglio capire cosa fare oggi.

Senza dubbio con il varo del governo Monti la democrazia italiana è stata commissariata. Un governo legittimato dal voto popolare è stato sostituito da un governo tecnico. Tuttavia quel commissariamento non nasceva da un oscuro complotto, ma da un calcolo politico trasparente. Le condizioni di quel patto possono riassumersi in questi termini. Berlusconi accettava di dimettersi e l’opposizione, sostanzialmente il Pd, non chiedeva le elezioni anticipate.

Certo, si può valutare questo accordo come una colpevole rinuncia alla normale dialettica democratica, ma parlare di complotto significa cadere nella peggiore dietrologia. Semmai occorre capire come e perché le maggiori forze politiche accettarono quella soluzione. Per il Pd si trattò di un calcolo di breve respiro. Il timore che una volta vinte le elezioni il governo di centro sinistra dovesse varare misure assai poco gradite all’elettorato di riferimento. Per capire la scelta Berlusconi occorre invece fare un ragionamento un po’ più articolato. Dopo la defezione di Fini e dei suoi non solo la maggioranza parlamentare del governo si era ristretta, ma erano cambiati gli equilibri della coalizione che sosteneva il governo. Soprattutto era cresciuto di molto il peso politico della Lega. Emergeva quindi una contraddizione che era implicita nel centro destra, ma che fino ad allora era rimasta parzialmente mimetizzata, l’incompatibilità tra il PdL e la Lega.

Il PdL nasceva come un partito nazionale a vocazione maggioritaria, che doveva riunire posizioni e sensibilità diverse accomunate da alcuni obiettivi di fondo. Un partito moderato, liberale, europeo, provvisto di una solida cultura di governo. Il partito di Bossi era (ed è) un partito identitario a base regionale, un sindacato territoriale aggressivo che puntava a massimizzare i propri consensi, per nulla interessato a una soluzione dei problemi del paese se non come un mezzo per riscuotere pesanti taglie a favore di quello che riteneva il proprio territorio.

Questa divergenza di fondo paralizzava l’azione del governo, che in quei mesi drammatici non riuscì a varare nessuna delle misure necessarie a fronteggiare la crisi economica. Da qui la sfiducia crescente non solo dell’opinione pubblica italiana, ma di quella internazionale e dei partner europei. Le dimissioni di Berlusconi nascevano da questa debolezza politica di fondo. Erano la via di uscita più conveniente per sottrarsi a una logorante impasse (sottraendosi anche all’abbraccio mortale di Bossi). Questa in sintesi le ragioni che portarono alla nascita del governo Monti.

In conclusione, se Berlusconi vuole contribuire (come di certo vuole) a ricostruire una casa comune del centro destra farebbe bene a riflettere seriamente sulle ragioni della crisi politica di tre anni addietro, senza utilizzarla come un banale e vacuo pretesto polemico.