Netanyahu incontra Mubarak mentre gli egiziani cambiano idea su Israele

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Netanyahu incontra Mubarak mentre gli egiziani cambiano idea su Israele

14 Settembre 2009

Sono trascorsi 30 anni da quando Israele decise di restituire all’Egitto le terre del Sinai occupate dopo la vittoriosa “Guerra dei 6 giorni”, e il presidente Sadat visitò Gerusalemme per decretare la pace tra i due Paesi. Da allora, i leader egiziani si sono dimostrati più aperti degli altri leader arabi e palestinesi verso Israele, l’America e – dopo il discorso del Cairo – verso Obama.

L’incontro di ieri fra il premier israeliano Netanyahu e il presidente egiziano Mubarak va letto proprio nel quadro di una normalizzazione definitiva dei rapporti tra lo stato ebraico e il potente vicino egiziano, tanto più che – invertendo un trend che sembrava consueto – pezzi consistenti dell’opinione pubblica egiziana ritengono che sia arrivato il momento di trovare un accordo di pace anche tra israeliani e palestinesi.

L’impianto di questo come degli altri incontri del passato, naturalmente, è basato sulle concessioni fatte da Israele. Gerusalemme si ritirò dal Sinai come si è ritirata da Gaza, sembra disposta a “congelare” per altri sei mesi la costruzione di nuove unità abitative in West Bank, è pronta a rilasciare un congruo numero di prigionieri palestinesi in cambio della liberazione di un solo uomo, il caporale Shalit (il capo dei servizi segreti egiziani avrebbe incontrato negli ultimi giorni sia l’inviato speciale di Netanyahu per il caso Shalit, sia la dirigenza di Hamas).

Concedere all’inviato americano Mitchell che in queste ore è a Gerusalemme, concedere a Mubarak che durante l’incontro al Cairo a chiesto di fermare la "giudeizzazione" di Gerusalemme, concedere ai palestinesi in vista della prossima riunione dell’Onu quando Obama potrebbe moderare il vertice tra Netanyahu e Abu Mazen. Tutto questo mentre il segretario generale della Lega Araba, in un suo recente discorso, ha rifiutato ogni normalizzazione dei rapporti con Israele fino a quando continuerà “l’espansione” delle colonie.

Forse però, almeno in Egitto, la politica delle concessioni perseguita testardamente da Israele sta avendo qualche effetto. Secondo un sondaggio diffuso di recente, ed effettuato su un campione di 800 persone, sarebbero numerosi gli egiziani che manifestano un incoraggiante atteggiamento di apertura verso lo stato ebraico. Se è vero che il popolo egiziano continua a nutrire ostilità per l’irrisolta questione palestinese, il discorso di Obama ha fatto breccia nei cuori dei giovani e della classe media ben istruita che adesso si aspetta nuovi passi in avanti nelle relazioni con Israele, lo stop degli attacchi missilistici da Gaza, e un negoziato basato sulla soluzione “due popoli due stati”.

L’86 per cento del campione ha detto di aver apprezzato il discorso di Obama ed è cresciuto anche il rating positivo nei confronti degli Stati Uniti (30 per cento). Quasi la metà degli egiziani intervistati riconosce l’esistenza di Israele come stato ebraico e spinge per la creazione di uno stato palestinese. Molti ritengono che la scelta di Arafat di abbandonare le trattative di pace a Camp David fu un grave errore per i palestinesi e solo il 26 per cento giustifica la violenza terrorista di Hamas (il 51 per cento incolpa Hamas della crisi che ha portato all’ultimo conflitto a Gaza).

Se consideriamo che gli egiziani non sanno chi siano gli israeliani, e che la propaganda interna – sia quella religiosa che proveniente dagli ambienti governativi – li ha indottrinati per anni alla giudeofobia, i risultati del sondaggio fanno ben sperare. Netanyahu ha parlato di “stato palestinese”, sta proseguendo nella politica di limitare le restrizioni alla mobilità palestinese, e nella estensione del suo programma di “pace economica”. Mubarak ha ribadito la posizione egiziana: tornare ai confini del ’67, rimuovere l’embargo su Gaza, Gerusalemme Est capitale dello stato palestinese, un nuovo round negoziale con la dirigenza dell’ANP. Se gli egiziani hanno ancora dei dubbi sulle reali intenzioni dei loro vicini è arrivato il momento di fargli comprendere che Israele è una nazione che vuole la pace.