Non esitiamo davanti al Male
17 Febbraio 2015
di redazione
Nella situazione di estrema incertezza che avvolge la Libia e la comunità internazionale, va dato atto al ministro della Difesa Roberta Pinotti di aver parlato con chiarezza: la Libia, ha detto il ministro, non può diventare “la nuova patria del Califfato”. “Pensate a cosa succederebbe con un territorio così ampio in mano alle forze del male, chiamiamole anche così”.
Forze del male. L’obiezione più comune che si potrebbe fare a questa definizione è che il mondo non si divide più tra bene e male, buoni e cattivi, bianco e nero, che si tratta di un giudizio troppo semplicistico e manicheo. Per molti anni alla Casa Bianca e nelle cancellerie europee l’andazzo è stato questo: ripulire lo scomodo vocabolario della Guerra al Terrore, depurandolo da frasi troppo crude. Erano lontani i tempi in cui si voleva mostrare al nemico “who’s Boss”, come scrisse Fared Zakaria nel 2004.
Si è visto a cosa sono serviti soft power e contenimento: sgozzamenti, Al Qaeda che si trasforma in uno Stato del Terrore (ah, già, col welfare tipico di Hamas, come se Stalin e Hitler non l’avessero sperimentato anche loro un modello di welfare), la minaccia che si avvicina ai nostri confini anzi è dentro casa, nel cuore dell’Europa. Per cui pur sforzandoci con la diplomazia e con quel realismo che tanto conta nelle relazioni internazionali (stavamo meglio quando c’era Gheddafi e i prof lo accoglievano alla Sapienza), diciamocelo, quelle che vogliono prendersi la Libia sono “forze del male”.
Lo sono da un punto di vista moralmente oggettivo, ma lo sono anche, come ha fatto notare l’estate scorsa Jonah Goldberg, dal punto di vista del multiculturalismo, del pluralismo e del relativismo che pure caratterizzano il panorama politico-culturale dei nostri tempi. Il Male che imprigiona e fa schiave le donne, impicca i gay, sgozza i copti, perseguita gli atei e i musulmani moderati, che potrebbe indurre gli ebrei a una nuova diaspora dall’Europa. Il Male è nella realtà ed è giusto farci i conti.