Non trasformiamo il Giorno della Memoria nel giorno della retorica
26 Gennaio 2008
“C’è qualcuno convinto che chi ci
attacca sia motivato dalle cose sbagliate che facciamo. Hanno torto. Ci
attaccano per le cose buone che facciamo. Perché siamo una democrazia. Non è un
caso che Amin Dada abbia invocato “l’estinzione dello Stato d’Israele”. E non è
un caso che questo assassino razzista sia il capo dell’organizzazione per
l’Unità Africana. Israele è una democrazia. E le dittature cercheranno qualsiasi
occasione per distruggere la cosa che le minaccia di più, cioè la democrazia”.
(Dal discorso pronunciato da D. P.
Moynihan scritto con il contributo di N. Podhoretz, in occasione della
risoluzione Onu approvata dall’Assemblea Generale il 10 novembre 1975 che
equiparava il sionismo a una forma di razzismo).
Chi ha la pazienza di scorrere
l’intero elenco degli eventi che si tengono nel nostro Paese in occasione
dell’ottava celebrazione del Giorno della Memoria, noterà un che di incongruo e
confusionario.
Le iniziative previste per
quest’anno sono numerosissime, coinvolgono indistintamente grandi e piccole città
e sono indette da istituzioni varie, amministrazioni locali, scuole e
università. Ma pur nel valore enorme, voglio sottolinearlo, della Giornata, da
questa miriade di appuntamenti emerge anche uno slittamento del suo valore in
virtù di una bizzarra proprietà transitiva: dalla Shoa verso fenomeni altri affini
alle tematiche molto generiche del razzismo .
Il Giorno della Memoria rischia di perdere
così la sua connotazione originaria e ragionevole per diventare spunto per un
tripudio di bontà eterodiretta. Sembra ormai integrato nel nostro vivere
sociale il costume di cum patire, divenire partecipi delle disgrazie
altrui, a condizione di poter fare, in circostanze prestabilite, pubblico
sfoggio della propria nobiltà d’animo e dare spazio al compiacimento per la propria
giustezza.
La
tragedia di un popolo non è grossolanamente trasferibile ad un altro, giacché
l’inconsapevolezza e la faciloneria ci condannano ad un domani ancor più
funesto dell’ieri.
Non
possiamo che constatare la veridicità della lezione di Allan Bloom: una
pigrizia cognitiva senza precedenti si è impossessata della nostra mente
facendoci approdare alla mitizzazione dei valori ed espellendo dai nostri
pensieri l’urgenza della realtà dei fatti.
Il tema
dominante del Giorno della Memoria, ovvero la Shoa, il genocidio sistematico degli
ebrei europei, sembra dissolversi e circoscriversi come parentesi storica. Si
confonde tra un eccesso informativo fuorviante che fa da cassa di risonanza a
quella forma di dispiacere drammatizzato e generalizzato che voglio evocare
come retorica del pietismo e che non ci difende dalla retorica del cum
patire stereotipato, fedele sostenitrice del politicamente corretto, infarcito
di santificazioni aprioristiche e condanne sommarie.
La mancanza di approfondimento analitico si
traduce in arditi e vani tentativi di proiettarsi oltre il mondo fisico, verso
ideali assoluti e impalpabili, indicati da parole-simulacro come democrazia,
pace, libertà e diritti umani.
Se
queste altissime mete politiche e culturali sono l’obiettivo bisogna costruire
fondamenta solide sulle quali edificare la nostra architettura intellettuale,
bisogna partire dalle tragiche verità della storia contemporanea.
Il
Giorno della Memoria dell’Olocausto, è un buon giorno per fare un passo in
questo senso. Soffermiamoci quindi come è doveroso a guardare con i nostri
occhi le ricostruzioni storiche, anche televisive di film e fiction come il
riuscito film tv Fuga per
la libertà andato in onda il 25 gennaio in prima serata su Canale 5
diretto da Carlo Carlei e che narra la vicenda dell’aviatore Massimo Teglio. Un
eroe coraggioso, e finora poco conosciuto, interpretato da un misurato Sergio
Castellito.
Soffermiamoci
ad ascoltare le testimonianze di chi c’era, rivivendo i racconti di quegli
uomini e quelle donne sopravvissuti all’abominevole odio razziale, che fu
tedesco, ma anche italiano, provando così nel riserbo del nostro sentire
personale un brivido sulla pelle e nel nostro cuore.
Ma raccogliamo l’invito a meditare
su quanto è stato, ricordando che l’antisemitismo si mostra oggi con nuovo vigore,
perché un nuovo capitolo è iniziato sessant’anni fa
con la fondazione dello Stato di Israele
Non
c’è bisogno di aspettare l’ultimo rapporto dell’Agenzia per i diritti
fondamentali dell’Ue che sarà reso pubblico alla fine di questo mese per
rendersi conto che gli episodi di odio antiebraico sono aumentati: omicidi come
quello nel 2006 di Ilan Halimi, un marocchino francese di origine ebraica, linciaggi,
ferimenti, atti di vandalismo contro tombe o monumenti, graffiti offensivi e sms
telefonici. Fatti criminali di matrice antisemita che, come si può leggere
nell’anticipazione del Rapporto “seguono l%27andamento del conflitto
arabo-israelo-palestinese”. Che strana coincidenza!
Da decenni si è costituita una
patologia di un pregiudizio antisraeliano che persevera in una
colpevolizzazione ossessiva verso Israele. Quanto più Israele viene attaccata
tanto più peggiora l’atteggiamento della stampa verso Israele e in modo
consequenziale la percezione negativa dell’opinione pubblica. Nella gran parte
dei media giornalistici si è rivelata una vera e propria incapacità nel raccontare
e analizzare in modo adeguato la guerra asimmetrica scatenata dal radicalismo
islamico. Una copertura informativa fortemente e spietatamente ostile a Israele
che fomenta un’intensa sovrapposizione nell’opinione pubblica tra Stato
d’Israele, governo israeliano, popolazione israeliana ed ebrei della diaspora
contribuendo così a diffondere da una parte un atteggiamento comprensivo
riguardo nei confronti del terrorismo, dall’altra l’immagine di Israele nemico
della pace, o ancora peggio razzista e imperialista. Emergono così deboli e
vili interpretazioni e semplificazioni che impediscono di comprendere fino in
fondo la vera natura e l’entità della bolla terroristica e si valutano come i
sacrifici e le scelte di un Stato per la sua sicurezza come errori strategici e
controproducenti sia dal punto di vista politico sia da quello morale, poiché
non escludono ma ritengono accettabile l’uso della forza.
Le continue esortazioni nelle
pubblicazioni e nelle tv mediorientali alla distruzione di Israele, le ripetute dichiarazione di odio cieco e le promesse di
sterminio di Ahmadinejad sono da
prendere molto sul serio. Impuniti proclami a spron battuto infarciti di slogan
sfacciatamente antiebraici. Tutte le teorie secondo le quali
l’antisemitismo classico sarebbe diminuito con la creazione di Israele, e
infine scomparso del tutto, sono state smentite. Per di più Israele è diventato
di fatto la somma di tutto il male, la prova che i Protocolli dei Savi Sion
avevano ragione e le accuse di blood libel, secondo cui gli ebrei
impasterebbero le azzime con il sangue di bambini
cristiani sgozzati, un topos diffusissimo nella stampa e nella
televisione arabe, erano vere.
Dopo la Shoah,
l’antisemitismo è divenuto un tabù pressoché invincibile ma è quindi forse meno censurabile
quando proviene da Oriente?
Nell’impasse politica
timida e quasi catastrofica dell’Unione europea, a fronte delle lezioni di pace
che l’Europa declama con parole, che sono più sporche della guerra che Israele
si trova a condurre, nel solito gioco mediatico e diplomatico che colpevolizza
unilateralmente Israele e le sue politiche, allora con forza retorica, quando molti di noi oggi
rievocheranno con intensa commozione la Shoa e milioni di ebrei europei
sbranati dallo sterminio nazi-fascista, portiamoci, anche metaforicamente la
bandiera con la Stella di David. Celebreremo questa Giornata fronteggiando gli
antisemitismi di oggi per rompere il senso comune dettato dal politically
correct e per riacquisire invece contro gli abusi della memoria efficaci
attribuzioni di senso verso fatti esemplari affinché divengano principi
d’azione per il presente e per il futuro.