Per la politica meno professionisti e più volti nuovi (e veline)
28 Aprile 2009
Nonostante la (parziale) retromarcia, la storia infinita dei distinguo del Presidente della Camera dalla strategia del Presidente del Popolo della Libertà si arricchisce di un nuovo capitolo. Un capitolo fatto di veline e di candidature elettorali. Nel web magazine della fondazione Fare Futuro (presieduta per l’appunto da Fini) è apparso un concettuoso intervento di durissima critica a Silvio Berlusconi reo di “fare politica con il corpo delle donne” per il solo fatto di aver annunciato l’intenzione di candidare alle prossime elezioni europee un buon numero di volti nuovi alcuni dei quali corrisponderebbero a giovani donne distintesi nel mondo della televisione e dello spettacolo (d’intrattenimento).
L’articolo in realtà è complesso: parte con una serrata denuncia della sottorappresentazione politica del genere femminile ed arriva alla denuncia della disinvolta scelta di Berlusconi che “fa uso di bei volti e bei corpi di persone che con la politica non hanno molto a che fare, allo scopo di proiettare una (falsa) immagine di freschezza e rinnovamento”.
Certo ad un palato politico raffinato non può che risultare stonata l’idea di trovarsi elette al Parlamento la vincitrice di un’edizione del Grande fratello o la protagonista della soap opera Incantesimo. In realtà, nonostante la bellezza delle protagoniste della polemica, l’eventuale elezione al Parlamento europeo di candidate del genere pone solo un problema estetico. La nostra estetica politica ci induce a considerare anomalo (e quindi antiestetico) che i rappresentanti del popolo abbiano anche un’immagine gradevole e che anzi si siano fatti largo nella vita proprio grazie alla gradevolezza della propria immagine.
In realtà, analizzando compiutamente la polemica lanciata da Fare futuro si scorgono diversi punti che non tornano. Vi è in primo luogo una caduta di stile di natura bacchettona e vetero-femminista. Vi è cioè l’idea che la bellezza femminile sia una “colpa” della quale emendarsi e che non può certo essere considerata una virtù da esibire in pubblico. Certo, anche il più impenitente dei bacchettoni in privato gradisce frequentare donne belle. Ma per l’appunto in privato, non certamente in pubblico. E poi – è questo il retropensiero – con un personale del genere il rischio è che le nuove eurodeputate finiscano per distrarre i colleghi, minando la (già non brillantissima) produttività della nostra rappresentanza parlamentare a Bruxelles. Come si vede dal vetero femminismo è facile cadere nel più vieto maschilismo!
Altrettanto evidente è il riflesso elitario e tecnocratico. L’idea è che la politica deve essere monopolio dei suoi professionisti. Queste veline sanno poco o nulla di politica ed è giusto che se ne tengano alla larga. In realtà, da sempre nella formazione della rappresentanza politica accanto a politici di professione vengono proposti al voto degli elettori esponenti dei diversi settori della società civile del tutto a digiuno di politica. E tale contaminazione è assolutamente proficua perché riduce i rischi che la classe politica si trasformi in una casta chiusa ed autoreferenziale che ha il solo obiettivo di permanere in carica. Del resto è difficile contestare che una protagonista del Grande Fratello (una delle trasmissioni che – ai nostri occhi incomprensibilmente – hanno fatto la storia della televisione degli ultimi dieci anni) sia rappresentativa di dinamiche profonde che attraversano la società.
Se vogliamo uno dei (tanti) difetti della Prima Repubblica Italiana era proprio quello di avere meccanismi di selezione della classe politica che impedivano di avvicinarsi alle istituzioni a chiunque non fosse un politico professionista. Sappiamo di correre il rischio della retorica, ma rimaniamo dell’idea che in una democrazia ben funzionante la politica è una passione e non una professione. O almeno, non può essere sempre e solo una professione.
Vi è infine un profilo schiettamente politico. L’idea elitaria della politica ai professionisti, che ha dominato i primi cinquant’anni di storia repubblicana, conduce inevitabilmente ad una situazione di immobilismo istituzionale. Affidare la selezione della classe politica ai “signori delle tessere” o ai “padroni delle preferenze” determina inevitabilmente un’appropriazione proprietaria delle istituzioni. Basti pensare al tasso di ricambio della classe parlamentare. Nella seconda repubblica ad ogni legislatura si registra oltre il 40% di neo eletti (il che vuol dire che ci sono altrettanti deputati che non vengono rieletti che non sono stati nemmeno ricandidati). Nella Prima repubblica le carriere parlamentari si interrompevano normalmente per eventi della natura o, più raramente, per clamorosi rovesci politici. Mai le carriere si interrompevano per una fisiologica valutazione negativa dei risultati politici conseguiti durante il mandato.
Ebbene, se per garantire funzionalità istituzionale, ricambio e alternanza politica dobbiamo sopportare qualche parlamentare (nazionale o europea) di bella presenza, ci dichiariamo pronti al sacrificio.