Per sparare sul mucchio Santoro ha bisogno di Travaglio

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Per sparare sul mucchio Santoro ha bisogno di Travaglio

23 Settembre 2009

 

“Ti do del bugiardo, se vuoi querelami pure, ma sappi che non ti conviene”. La scena sembra tratta da un film grottesco: conduttore e direttore di rete si siedono l’uno accanto all’altro di fronte ai taccuini dei giornalisti per presentare una nuova trasmissione ai nastri di partenza, salvo passare agli insulti (unidirezionali) e alle critiche (reciproche) un minuto dopo.

Verrebbe da sorridere se dietro i toni di Michele Santoro all’indirizzo di Massimo Liofredi non trasparisse una boria e una tracotanza che travalicano di gran lunga il fatto televisivo e lo stesso oggetto del contendere, legato ai ritardi con cui sono stati siglati i contratti e a una serie di disagi tecnici.

Come dire: io ho la mia prima serata su Rai Due assicurata a vita da una sentenza di un giudice del lavoro che obbliga il servizio pubblico a mettermi in palinsesto, a prescindere dalle linee editoriali e da eventuali eccessi esibiti in video, e dunque posso permettermi di tutto, anche di insultare di fronte alle telecamere i dirigenti della rete, tanto la magistratura è e resta con me.

Deve averci pensato la notte, Santoro: come posso andare oltre? Che mi invento per finire in cima a tutte le pagine dei giornali lanciando come si deve il programma, radicalizzando al limite gli incredibili paradossi della Rai e mettendo alle corde tutti gli aspiranti censori?

I tentennamenti sulla conferma del contratto di Marco Travaglio, molto più dei disagi tecnici, sono stati il vero grimaldello per aprire la sfida: o con lui o niente, Marco è una sola cosa con il programma, non si parte senza di lui. Un pretesto per fare casino, è vero, ma anche una profonda verità: Santoro ha sempre avuto dalla sua un ottimo bacino di ascolto, ma uno dei segreti di Annozero è la devozione dell’esercito dei travaglisti, quei fan sfegatati che tutto potrebbero perdersi tranne il sermone iniziale del loro eroe e quei salaci contrappunti dispensati qua e là durante la trasmissione.

Travaglio, magari in misura meno evidente di un Beppe Grillo, è ormai un fenomeno nazionale. Ha molti elementi in comune con Santoro (una sconfinata vanità, un’indubbia abilità, un debole per il giustizialismo, il piacere sadico di sparare nel mucchio) e altri che a Santoro mancano (una chiarezza seducente di scrittura e di esposizione, un’idea precisa di dove indirizzare un discorso) e che compattano e completano una trasmissioni che altrimenti rischia di scivolare troppo negli umori e nei lamenti della piazza e dello studio tralasciando a volte la sua parte cerebrale e perdendo il filo del discorso.

Travaglio è talmente bravo che se si mettesse in testa di dimostrare che la terra è un cubo troverebbe subito proseliti e riuscirebbe, a forza di teoremi e sorrisi allusivi, a minare le certezze di chi propende per la forma sferica o quanto meno a irritarne la suscettibilità.

Come Santoro è saldamente antiberlusconiano e come Santoro è altrettanto ostile al Pd, cita sempre Montanelli e Biagi senza però condividerne lo stile, si permette di insistere pesantemente in diretta televisiva su certe pretese frequentazioni mafiose del presidente del Senato, ma non la prende bene e tira fuori le unghie se certi colleghi, il Filippo Facci o il Giuseppe D’Avanzo di turno, tentano di usare gli stessi metodi da inquisizione mediatica contro di lui. Ma tanto è tignoso e preciso da uscirne bene sempre e comunque. Anzi, nel caso di D’Avanzo una curiosa nemesi sembra aver colpito il rigoroso giornalista di Repubblica, trasformandolo, immediatamente dopo il litigio con Travaglio, in un assetato cacciatore di gossip per attaccare il Cavaliere su tutto tranne che sulla politica.

Insomma, a uno come Travaglio non si rinuncia facilmente. E tutto sommato, la Rai farà bene a dare carta bianca anche stavolta alle richieste di Santoro. Solo così, probabilmente, Berlusconi troverà una sponda perfetta per continuare a portare avanti la tesi dell’anti-italianità dei suoi avversari, politici o giornalisti che siano.