Perché il Fondo Comune non convince gli Stati che hanno i conti in ordine
09 Ottobre 2008
Solitamente si cercava di giungere, come si fa ogni anno, ad un accordo preliminare tra i Paesi dell’Ue prima dell’assemblea annuale del Fondo monetario (Fmi) e della Banca mondiale (Bm) ma in questo ottobre 2008 la crisi sui mercati finanziari ha travolto pure questa abitudine consolidata. L’Ue va in ordine sparso. Così come il più ristretto gruppo dei Paesi dell’area dell’euro.
Negli ultimi giorni di settembre, la diplomazia economica americana si era già rivolta agli europei perché unissero le loro forze a quelle Usa nel proporre e lanciare un piano straordinario per arginare la crisi. Erano le giornate del fallimento di Lehman Brothers. Lunedì 22 settembre si è anche tenuto un G7 in teleconferenza su questi temi. In effetti, nella proposta iniziale (secondo indiscrezioni non confermate ma neanche smentite) l’Ue avrebbe dovuto aggiungere 300 miliardi di dollari a quelli del Tesoro Usa per raggiungere lo stesso fine: comprendere quale è il valore (ossia il “prezzo”) di numerose categorie di titoli strutturati, oggi nei libri contabili di banche e finanziarie ma di cui le stesse banche e finanziarie non hanno idea di quanto e cosa vogliano dire (a fini contabili).
Per l’Ue, ed in particolare l’area dell’euro, si è posto un trilemma: rispondere all’invito (o “grido di dolore” che dir si voglia) di Paulson e varare un piano di riassetto transatlantico, allestire un piano europeo (come proposto dalla Francia che ha l’onore e l’onere della Presidenza dell’Unione sino al 31 dicembre, andare ciascuno per conto proprio (secondo i propri mezzi ed il proprio geniaccio nazionale). Nel primo e nel secondo caso, si sarebbe dovuto rispondere ad un interrogativo – che tutti sanno ma di cui nessuno osa parlare: cosa succederà al “patto di stabilità”: Una sospensione? Per quanto tempo? Una revisione? Quando profonda? Ed in caso di sospensione “lunga” e di revisione incisiva, cosa avverrà all’unione monetaria?
Nessun Paese dell’Ue, e tanto meno quelli dell’area dell’euro, sono disposti a torchiare i contribuenti per dare vita ad un fondo europeo, ed ancora meno ad un fondo transatlantico. La Francia che si è impegnata in tale direzione al massimo livello, non ne ha ricavato neanche il classico ragno dal buco. L’Italia ha supportato la Francia. Francia ed Italia sono, tuttavia, due Paesi con i conti pubblici non in buona saluta. Sono guardate, quindi, con sospetto dalla Germania e da Paesi con i conti in ordine: che fossero loro (e i loro contribuenti) a dovere mettere insieme le risorse per il fondo (europeo o transatlantico che sia). Quindi, delle tre alternative non è rimasta sul tappeto che quella dei percorsi nazionali.
Ci sono, però, azioni europei che possono, e debbono, essere prese anche senza la istituzione del fondo comune. In primo luogo, definire regole comuni per le garanzie pubbliche ai conti correnti bancari (il risultato minimale ottenuto all’Ecofin a Città del Lussemburgo) al fine di evitare panico e corse allo sportello; è quanto hanno fatto tempestivamente