I comici italiani, che vanno per la maggiore, si sono specializzati, da qualche tempo, nell’arte antica dell’imitazione. Ce n’è per tutti, destra e sinistra, per Rutelli come per Gasparri, per Russo Jervolino come per La Russa, per D’Alema come per Berlusconi. Forse i numeri e la ‘mano pesante’ fanno pendere il piatto della bilancia più da una parte che dall’altra (è superfluo dire quale) ma, insomma, all’appello mancano ben pochi. E tra questi pochi c’è Antonio Di Pietro, imitato solo da qualche cabarettista non certo notissimo come Claudio Lauretta. Come mai? Dire che il personaggio ‘non si presta’ significa prendersi in giro. La spiegazione potrebbe essere un’altra. Viviamo in uno stato burocratico che avvolge il cittadino nella rete del gladiatore di norme, prestazioni, adempimenti, pagamenti che, come gli esami di Eduardo, non finiscono mai. Basta avere una casa e una macchina per essere tenuti a una serie di incombenze che talora occupano intere giornate. Se, con le parole del Salvatore, < il giusto pecca sette volte al giorno>, il cittadino onesto infrange qualche norma dei tanti codici almeno otto volte al giorno; pertanto se qualche magistrato decidesse di intercettarne le telefonate, qualche scheletro–o scheletrino–nell’armadio verrebbe certamente fuori. In questa situazione, è pensabile fare la caricatura di Di Pietro, inventandosi (naturalmente!) la scena del ‘tintinnio delle manette’(la <metafora>, come si ricorda, è di Oscar Luigi Scalfaro, quello del <non ci sto>) ?Di Pietro è la proiezione parlamentare della magistratura giacobina e anche i comici sono italiani <e tengono famiglia!>.
Dino Cofrancesco
PS.–Dopo questo ‘uovo di giornata’ avverto gli amici che, a telefono, sono disposto a parlare solo del clima e della sua inaffidabilità..)