Perché questa crisi è diversa da quella del ’29

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Perché questa crisi è diversa da quella del ’29

13 Ottobre 2008

In questi giorni abbondano le disamine sull’attuale situazione economica e finanziaria: ogni esperto ed operatore del settore si cimenta in paralleli e le similitudini tra la attuale crisi finanziaria e quella ben nota del ’29, con ogni sorta di dettaglio più o meno esatto. Varrebbe la pena di analizzare nel dettaglio alcuni aspetti tecnici e forse scopriremo che questo accostamento con la famosa crisi del secolo scorso potrebbe essere inadeguato. Tanti sono infatti i punti che distinguono ciò che sta succedendo in questi mesi e la profonda crisi del secolo scorso, aspetti sia tecnici/finanziari  che economici, andiamo in ordine:

1. Guardando ai prezzi delle azioni degli ultimi anni ed il percorso di rialzi che ha portato ai massimi del 2007, potremo vedere una ridotta volatilità ed escursioni al rialzo giorno dopo giorno di limitata ampiezza, mentre prima del 29 ottobre 1929 era abitudine osservare azioni che inanellavano +50% in una sola seduta. Persino i rialzi e la volatilità degli ultimi anni ’90 e dei primi mesi del 2000 sono stati sensibilmente più intensi dell’intero periodo 2003-2007, in questo senso la eccitazione per la new economy è stato un effetto decisamente più simile alla euforia antecedente il ’29.
2. I tassi di interesse in cui è maturata l’attuale crisi sono decisamente diversi da quelli di allora, difatti i tassi degli ultimi anni sono stati circa un ¼ di quelli che giravano alla fine degli anni 20.
3. Inoltre è necessario ricordare che la diffusione stessa dei mercati azionari era minima e non paragonabile all’attuale; di fatto pochi e ristretti mercati azionari nell’intero globo, “alle grida” tra l’altro, contro le decine di mercati “telematici” di oggi, il che comporta un numero di attori, una velocità ed un numero di operazioni neanche lontanamente paragonabile, quasi come accostare un carro di buoi ad una vettura di Formula1.

Il contesto economico in cui sono maturate le recenti perdite dei mercati azionari è, a rigore, ancora in fase di crescita, una, seppur limitata, espansione che ben poco ha a che vedere con la grande depressione. Fino a prova contraria la quantità di ricchezza a livello globale continua a crescere ed il FMI ha previsto per il 2008 e il 2009 tassi di crescita globali superiori al 4% annuo, quindi di depressione misurata neanche una traccia.

Il fatto stesso che nel 1929 gli USA fossero il grande volano dell’industrializzazione, è ben diverso dal quadro di una economia globalizzata con un alto numero di paesi industrializzati, sia emergenti che consolidati, che producono e consumano ricchezza, in un contesto di libero mercato diffuso. Ci sono tra l’altro molte realtà che limiteranno i danni derivanti dalla crisi, attori che rimarranno alla finestra cogliendo ogni opportunità di acquisire aziende a prezzi decisamente interessanti, basti pensare alla finanza islamica o ai nuovi grandi investitori cinesi che potrebbe fare acquisti sensazionali di grandi compagnie americane in saldo.Grande e sostanziale è la differenza delle contromisure prese a crisi avviata: nel 1929 gli stessi banchieri, per scongiurare una catastrofe, misero mano al portafoglio per fare acquisti pubblici e sensazionali su azioni quotate, passò alla storia quando la J.P. Morgan, insieme ad altri banchieri, durante una seduta proclamò a gran voce i suoi acquisti sui maggiori titoli del NYSE, cercando di diffondere un ottimismo, in realtà mai trasmesso. In questi giorni invece sono le banche a chiedere aiuto ai governi e alle istituzioni sovranazionali che stanno al momento curando solo i sintomi, iniettando massicce dosi di liquidità per impedire il collasso, ma che dovranno adoperarsi per discutere nuove e più efficaci regole per i mercati cercando di eliminare quegli elementi cancerogeni che l’ingegneria finanziaria ha introdotto negli ultimi anni e riducendo nel complesso sia la speculazione che l’effetto leva ormai sin troppo ampio all’interno del sistema.

L’unico aspetto simile tra le due crisi è un fenomeno che ritorna ad ogni forte ribasso, cioè il pessimismo, la sfiducia degli investitori, il panic-selling, tutti comportamenti squisitamente umani ed assolutamente naturali in contesti negativi del genere.

Ma detto ciò, perché allora tanti esperti, tra cui molti gestori, si affannano ad allinearsi con la teoria della “crisi epocale”? Perché gridare alla catastrofe quando catastrofe forse non è?

La risposta è probabilmente che questo è il modo più semplice per oscurare il mediocre lavoro che l’industria del risparmio gestito ha fatto per gli investitori, una ottima scorciatoia per non rispondere delle perdite nei portafogli dei clienti dopo l’illusione diffusa dei facili guadagni; in fondo è più facile accodarsi ad un coro unanime di stupore piuttosto che far fronte alle proprie responsabilità, alla totale incapacità di tutelare i patrimoni gestiti.

I mercati salgono e scendono, e questo è tanto vero quanto la notte ed il giorno, una ordinaria normalità che va avanti da oltre un secolo; compito di chi cura i capitali è di partecipare ai rialzi e di tutelare i patrimoni nelle fasi di ribasso. Stando ai numeri questa ultima discesa dei mercati non è la più profonda, ed allora chi ha tutelato i propri clienti dalle perdite ha fatto un buon lavoro, gli altri no.
Ma era impossibile prevedere tutto ciò? La attuale crisi è stata così repentina ed improvvisa?  No. Guardando all’andamento delle quotazioni dei mercati finanziari e con l’utilizzo di adeguati strumenti di analisi,  i primi segnali di allerta sul mercato italiano erano arrivati già nel giugno dello scorso anno, segnali di allarme seguiti e validati dai successivi forti ribassi delle borse europee ed americane. Già ad agosto 2007 il quadro era abbastanza delineato. Una volta visti i segnali e riscontrate le criticità dell’industria del credito, le società più virtuose hanno consigliato ai propri clienti di tirare i remi in barca mentre gran parte degli operatori che ha preferito far finta di nulla. Abbiamo visto per mesi e mesi addetti al settore scrivere nelle maggiori testate sui titoli da tenere in portafoglio nei periodi di bufera, mentre era più opportuno tornare in porto ed ormeggiare, vista la bufera. L’unico rammarico è che se si fosse intervenuto per tempo i danni sarebbero stati decisamente inferiori a quelli che l’economia reale subirà ora.

Forse allora il nascondersi dietro presunti eventi “rari” è l’unico modo per mantenere pulita ed intonsa la  coscienza di chi ha sbagliato, continuando in futuro a fornire gli stessi mediocri servizi; ma se questi eventi rari negli ultimi 10 anni si sono presentati almeno tre volte, ne consegue che l’aggettivo raro è sicuramente fuori luogo, mentre sarebbe più corretto parlare di incapacità cronica della tutela del risparmio.

* dello Studio Elite Financial