Quei corsari abruzzesi che trascinarono Pirandello in tribunale

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Quei corsari abruzzesi che trascinarono Pirandello in tribunale

13 Marzo 2009

“Lei capisce di letteratura quanto può capirne un cerinaio”. Quando c’era da battagliare, Luigi Pirandello non si tirava indietro. Solo che quella volta gli andò male. Il destinatario di quella frase “ingiuriosa”, contenuta in una lettera, si offese a tal punto che trascinò in giudizio l’autore de “Il fu Mattia Pascal”. Il quale perse la causa e dovette risarcire la controparte con 41 lire. La controparte in questione era un abruzzese audace e intransigente, Rocco Carabba; un imprenditore che aveva creato dal nulla una casa editrice che agli inizi del secolo scorso da Lanciano, in provincia di Chieti, rivaleggiava con la già blasonata Laterza.

Lo scazzo con il futuro premio Nobel per la letteratura non era nemmeno nelle previsioni. Nel 1907 Pirandello andò a Lanciano nelle vesti di presidente di commissione d’esame al liceo classico. Quasi inevitabile l’incontro con Carabba con il quale pubblicò l’anno successivo, in 500 copie, il celebre saggio su “L’umorismo”. L’editore volle continuare i rapporti con Pirandello al quale chiese una serie di dodici novelle per i giovani offrendogli un anticipo di 400 lire. Lo scrittore gliene inviò quattro, che tuttavia non piacquero all’uomo di Lanciano, soprattutto perché qualcuna di queste era già stata pubblicata su riviste e giornali: chiedeva e pretendeva roba inedita. Pirandello tergiversò. Carabba insistette. I rapporti, dopo la lettera non del tutto ossequiosa, s’imbucarono nella grana giudiziaria dovuta all’intemperanza (e forse al torto sfacciato) del geniale agrigentino.

Questo è solo uno degli episodi che costellano la vita della più gloriosa casa editrice d’Abruzzo che, dopo una lunghissima pausa di quasi mezzo secolo, nel 1996 ha ripreso le pubblicazioni, sebbene con meno smalto rispetto ai suoi anni ruggenti, nonostante collane e titoli stimolino il lettore curioso.

Nata nel 1878, dopo un paio di anni pubblicò in seconda edizione la raccolta poetica “Primo vere” di D’ Annunzio. Libri per ragazzi e scolastica formarono la spina dorsale dell’impresa, che già nei primi anni del Novecento si segnalava per vitalità e un certo fiuto per le novità. Non è un caso, infatti, se nel 1908 dalla stamperia esce la prima tradizione italiana di quello che diventerà un classico della letteratura per giovinette, “Piccole donne” di Louisa May Alcott. La svolta, tuttavia, sarebbe arrivata sul finire degli anni Dieci. Decisivo, il rapporto con Giovanni Papini (anche se persino con lui l’editore avrà rapporti burrascosi per un libro, “Polemiche religiose”, che l’autore fiorentino chiese invano di ritirare dal mercato dopo la conversione) che diede slancio al marchio abruzzese. Il frutto di quell’intesa si concretizzò in una mitica collana, “La cultura dell’anima”, in cui confluirono testi filosofici in piccoli volumi disegnati da Ardengo Soffici.

Un’iniziativa “corsara” per quei tempi; un controcanto alle austere e analoghe iniziative adottate a Bari, in casa Laterza, dove regnava don Benedetto Croce con i suoi “Classici della Filosofia”. Un’idea di cultura, e della sua diffusione, che voleva adattarsi al più alto numero possibile di destinatari. Si cominciò con “Il primo libro della Metafisica” di Aristotele (1909), si passò per Kierkegaard per la prima volta pubblicato in Italia, e si finì, dopo 163 volumi, nel 1938, con i “Testi taoisti”. Una collana più “leggera”, affiancata a quella di filosofia, inventata sempre da Papini, si chiamava invece “Scrittori nostri”: vi apparvero testi poco frequentati e minori di autori come Ariosto, Michelangelo, Dante, Ippolito Nievo… Nel frattempo Gino, il figlio dell’editore Rocco, aveva intrapreso una nuova avventura editoriale per divergenza col padre. Negli anni Trenta un investimento sbagliato a Milano turbò l’equilibrio dell’azienda. Che lentamente declinò, sino al fallimento del 1950. Bisognerà aspettare da quel momento 46 anni per ritrovare nuovamente il mitico marchio editoriale nuovamente tra gli scaffali di una libreria.

E tuttavia, sempre per rimanere nell’area di Chieti, una certa vitalità in fatto di patrie lettere da qualche tempo sembra riscontrarsi anche altrove. Ci piace segnalare, fra le altre, una casa editrice attiva da oltre dieci anni. Si chiama Noubs. Nata nel ’95 grazie anche all’amorevole disponibilità di Mario Luzi che le concederà la pubblicazione delle “Poesie scelte”. Da quel momento, antenne puntate sulle voci nuove che provengono anche dall’estero, romanzi gialli e ancora poesia.