Riccardi ci illustra un punto  di vista liberale sui Dico

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Riccardi ci illustra un punto di vista liberale sui Dico

10 Aprile 2007

Raffaele Riccardi coglie un punto importante e spesso trascurato
nella discussione sui Dico. La legge sui diritti e i doveri dei
conviventi si intrufola nella vita privata delle persone, nella loro
affettività e nei loro costumi sessuali, ben più di quanto un liberale
possa tollerare. In più ci fa capire che quell’acronimo monco (non a
caso manca la sillaba “do” relativa ai doveri) rivela molto della natura
della legge in cui proprio i doveri sono messi in secondo piano. Vale
per i gay, che sono liberi – come tutti – di fare ciò che vogliono, ma
hanno il dovere di rispettare le leggi, e oggi in Italia per sposarsi
bisogna essere uomo e donna. Ed è una legge che non mi sembra nè utile
nè urgente cambiare.
Riccardi mi piace meno quando parla di “lobby
omosessuale”. Sarà che di per sè questa locuzione mi urta: suona come
una criminalizzazione generica e abusiva e mi fa pensare ad altre
“lobby” a cui spesso si crede di poter attribuire tutti i mali del
mondo. Poi non mi pare che in azione sulla vicenda dei Dico ci siano
principalmente i gay e certamente non tutti. Il fenomeno è ben più
ampio e diffuso e riguarda una cultura dei diritti dominante a sinistra
in cui tutto ciò che si desidera deve essere concesso per legge.
Infine, più banalmente, c’è un riflesso zapaterista del governo Prodi,
che potendo fare ben poco di sostanziale senza spaccare la sua
coalizione, sceglie il terreno dei diritti dove tutti si ritrovano,
appassionatamente.

 

Ecco quello che scrive Riccardi

A chi servono i Dico? Dunque, ragioniamo. Esistono due
categorie principali di coppie di fatto. Quelle composte da persone libere da
vincoli matrimoniali e quelle in cui almeno un componente sia sposato o
separato. Ognuna delle due categorie può poi esser composta da individui dello
stesso sesso o di sesso diverso. Se due persone dello stesso sesso sono libere
possono fare a meno dei Dico, potendo tranquillamente sposarsi con rito civile
o religioso. Se invece lui o lei hanno un vincolo matrimoniale in atto non
possono ricorrere alla nuova legge, in quanto cadrebbero in un caso di bigamia.
Veniamo ora a coppie dello stesso sesso. Se un componente della coppia di fatto
ha un vincolo matrimoniale non potrebbe stipulare un nuovo patto senza
danneggiare i diritti del coniuge. Se invece le due persone sono libere allora
sì che possono ricorrere ai Dico, e questo è l’unico caso in cui il patto
sarebbe utilizzabile. Riassunto della situazione: i Dico servono soltanto a
coppie di due uomini o due donne. Non ho fatto finora menzione di vocaboli come
gay, lesbica, omosessuale perché la legge non può e non deve interessarsi delle
inclinazioni sessuali dei cittadini. Ma i Dico, per cercare di salvare capra e
cavoli, introducono concetti come l’affettività e la convivenza che pongono
paletti nemmeno contemplati dal matrimonio civile. Due persone che si stiano
anche cordialmente antipatiche possono benissimo sposarsi (mai sentito parlare
di matrimoni di interesse?). E una coppia di sposi che si ama alla follia può
benissimo non convivere. Magari per motivi di lavoro può darsi che lui debba
lavorare a Milano e lei a Roma, senza per questo non sentirsi marito e moglie a
tutti gli effetti. Invece i Dico chiedono quasi fiscalmente una dimostrazione
di affettività e di convivenza, entrando così abusivamente nell’intimità delle
persone. Il fatto è che tutta questa pantomima serve soltanto per appagare i
desideri della lobby omosessuale che giunge al punto di negare l’esistenza
stessa del genere maschile e femminile, addebitandoli a pregiudizi sociali! E
non dimentichiamo che in Spagna la nuova legge sul la famiglia ha abrogato le
parole marito e moglie sostituendole con coniuge e anche padre e madre sono
state espunte, sostituite con il burocratico termine di genitore A e genitore
B. Stiamo insomma precipitando per una china pericolosa che condurrà
inevitabilmente alla disgregazione totale della famiglia, verso la quale siamo
comunque ben avviati. Dobbiamo dunque tornare alla discriminazione degli
omosessuali? Niente di tutto questo. Se è vero che gay è l’acronimo di
“good as you” allora riconosciamo che essi sono “buoni quanto
noi” e per questo devono avere gli stessi diritti e gli stessi doveri di
tutti, tra i quali il diritto e il dovere di sposare, se donna, un uomo e se
uomo una donna. Nell’antica Roma si diceva:”Ubi tu Gaius, ego Gaia”,
che non significava “dove tu gay, io gay”, ma, molto più
significativamente, ove tu uomo e marito sarai, io donna e moglie sarò. Con la
sinteticità del latino questa breve frase può forse raccogliere tutto il succo
di questo scritto.

Raffaele Riccardi-Roma