Salvini  sopravvalutato, Lega non passa il Garigliano

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Salvini sopravvalutato, Lega non passa il Garigliano

14 Dicembre 2014

La politica italiana continua a soffrire di una malattia antica: quella del test elettorale. Ogni elezione parziale, locale, è letta come un test importante, viene interpretata come un annuncio del futuro, e commentata come sicura prefigurazione di elezioni nazionali che magari si svolgeranno di lì a qualche anno. Adesso, dopo le regionali delle scorse settimane, si dà per certo che l’astro nascente del centrodestra sia Matteo Salvini e che la nuova Lega postbossiana seguirà l’irresistibile ascesa del Front National di Marine Le Pen. Sono ragionamenti e previsioni che ci appaiono affrettate.

Il risultato ottenuto dalla Lega in Emilia Romagna, per quanto significativo in termini percentuali, non autorizza nessun automatismo su scala nazionale. Anzitutto occorre considerare che a determinarlo ha inciso non poco il grande numero di astenuti. Salvini ha fatto il pieno di un voto di protesta, che ha voluto esprimersi comunque. È presumibile che per le elezioni nazionali la percentuale di votanti risulterà più larga. In quel caso, però, è davvero improbabile che i molti elettori rimasti a casa per le regionali diano il loro voto alla Lega.

Peraltro, prima di evocare come inevitabili i futuri successi leghisti, occorre considerare la questione geografica. La Lega è sempre stato un partito locale, radicato territorialmente nel nord del paese, ma incapace di raccogliere voti al di sotto della linea gotica. Anche ammettendo la capacità di riconversione nazionale di una formazione politica che a lungo ha fatto del separatismo la sua parola d’ordine (quello che possiamo definire un disinvolto trasformismo interno), non è detto che il partito riesca a scrollarsi di dosso in poco tempo la pessima nomea che in questi decenni si è meritatamente attirata nel sud del paese.

Peraltro, e facciamo riferimento sempre al test delle regionali, al brillante risultato dell’Emilia-Romagna ha corrisposto il flop della Calabria. In questa regione la Lega ha fatto registrare il solito non pervenuto che accompagna il simbolo del carroccio quando si oltrepassa il Garigliano. Rispetto a questo dato obiettivo, anche l’ipotesi, ventilata a più riprese dai dirigenti leghisti, di dare vita a leghe meridionali appare tutt’altro che facile da perseguire. Si tratta di un’operazione già tentata negli anni scorsi, ma sempre con magrissimi risultati. Un nuovo tentativo si prospetta non meno difficile che in passato; soprattutto se si considera che nelle regioni meridionali mancano i quadri politici di cui, nel bene e nel male (soprattutto nel male, a dire il vero), il partito dispone nel settentrione.

Detto questo non si può escludere che, in una situazione di persistente crisi economica e di accentuata volatilità elettorale, le parole d’ordine su cui Salvini ha impostato la sua gestione possano raccogliere un consenso significativo. Ma per evitare questo pericolo serve a poco interrogarsi sulla strategia della Lega; occorre, invece, volgere la nostra attenzione all’attività del governo. Se il governo sarà capace di una efficace azione riformatrice che investa alcuni ambiti essenziali su cui si sono registrate finora solo buone intenzioni (taglio alle municipalizzate dei comuni, riduzione dei poteri delle regioni, velocizzazione del processo civile), allora sarà possibile ricostruire un clima di fiducia  fra cittadini e mondo politico tagliando le unghie anche alla rovinosa demagogia leghista.