Sentenza terzopolista: Berlusconi deve dimettersi, Fini no
28 Gennaio 2011
Silvio Berlusconi deve dimettersi, Gianfranco Fini no. Il primo è il male assoluto, quello dei festini di Arcore, delle ragazze in cerca di un posto al sole, conto in banca e casa gratis in cambio di sesso. Il secondo, invece, è vittima del primo definito dal finiano puro e duro Bocchino “il mandante” dell’operazione “a orologeria contro Fini al solo scopo di distrarre l’opinione pubblica da quanto sta emergendo dalle inchieste di Milano”.
Al netto degli atti giudiziari di Milano e le carte di Santa Lucia, è questo il succo del nuovo round attorno al quale si sta avvitando il dibattito politico. Rubygate, affaire Montecarlo, Copasir è il menù di giornata. Le dichiarazioni di Frattini in Senato sulla casa di An, il vertice di Berlusconi coi suoi, le controaccuse dei futuristi al premier e al presidente del Senato seguite dalla denuncia contro il titolare della Farnesina, la querelle Pdl-Lega-D’Alema sul Comitato parlamentare sulla sicurezza, sono gli ingredienti dello scontro totale.
"Silvio Berlusconi è il mandante di un dossieraggio a orologeria. Il manovale è Valter Lavitola. Franco Frattini è il fattorino. E insieme a Renato Schifani si presta a essere il falso testimone del premier”. Il fuoco di fila dello stato maggiore di Fli arriva in serata e con tanto di denuncia per abuso d’ufficio nei confronti del titolare della Farnesina. E’ il gran finale di una giornata da ‘guerra nucleare’, iniziata con la riposta di Frattini all’interrogazione di un senatore Pdl sul caso Montecarlo: le carte arrivate da Santa Lucia “sono autentiche”. Punto.
Il ministro degli Esteri non ne svela il contenuto e spiega di aver ricevuto, e non per rogatoria, informazioni su una vicenda che coinvolge istituzioni dello Stato ma questo non basta alle opposizioni che lasciano l’aula di Palazzo Madama in segno di protesta. Il presidente della Camera non commenta ma lascia ai suoi la controffensiva, durissima. Bocchino insiste sulle dimissioni del premier perché il “caso Ruby dimostra quanto c’è bisogno che lasci” ma spiega che il suo partito non sfiducerà il ministro degli Esteri dal momento che ha già presentato un’apposita mozione nei confronti dell’intero governo. Mozione e missione fallite il 14 dicembre a Montecitorio quando l’esecutivo ha ottenuto la fiducia con una maggioranza più larga di quella uscita dalle urne. In realtà è questo il vero motivo per il quale i futuristi non azzardano una nuova inziativa, oltretutto dopo aver incassato l’ennesima sconfitta due giorni fa con la sfiducia a Bondi.
Il Pdl contrattacca con Quagliariello e Gasparri secondo i quali Bocchino&C confermano la "linea dell’arroganza dell’impunità. La correttezza di Frattini è incontestabile. L’uso spregiudicato delle carte bollate preferiamo lasciarlo ad altri, nè accettiamo che accusi di dossieraggio Berlusconi chi da giorni, incapace di affermarsi sul piano politico e parlamentare, non sa fare altro che brandire intercettazioni e pedinamenti telematici compiuti illegalmente ai danni del premier". I vertici del Pdl in Senato incalzano: "Noi a differenza di Fli non deleghiamo la nostra politica ai pubblici ministeri. Fa poi sorridere la richiesta di dimissioni al presidente Schifani la cui imparzialità non può essere messa in discussione da nessuno".
Ma dal Pdl si insiste anche sull’incompatibilità di Fini col suo ruolo istituzionale, testimoniato anche dal caso Copasir dove – denuncia il centrodestra che diserterà i lavori dell’organismo parlamentare finchè il caso non sarà risolto – ormai da 43 giorni l’inquilino di Montecitorio non dà il via libera alla nomina del sostituto di Carmelo Briguglio, ex Pdl passato a Fli. E adesso che le carte del governo caraibico dicono che il proprietario della casa di Montecarlo era Giancarlo Tulliani, la maggioranza torna a sollecitare il passo indietro del presidente della Camera. In sostanza, il ragionamento è: non si tratta di accertare una verità giudiziaria che compete solo alla magistratura ma di sollecitare Fini a dare seguito a una promessa che lui stesso ha fatto qualora dall’intera vicenda fosse emerso che la casa di Montecarlo era di proprietà del cognato. Insomma, un atto di coerenza.
Botta e risposta a parte, il dato di fondo è che ormai lo scontro tra i cofondatori del Pdl travolge tutte le istituzioni. E quanto accaduto ieri tra Palazzo Madama e Montecitorio lo conferma: dalle contestazioni delle opposizioni, compreso Casini (“il problema non è certo quello di Fini. C’è un problema di presidenti ma non riguarda quello della Camera”), al presidente del Senato per aver calendarizzato con urgenza la mozione del Pdl sulla casa di An a Montecarlo sulla quale Frattini ha subito risposto; al no della Giunta per le autorizzazioni a procedere alla richiesta dei pm milanesi; dalla conferenza stampa dei finiani convocata seduta stante, alla replica altrettanto dura dei vertici di via dell’Umiltà.
Berlusconi convoca lo stato maggiore del partito a Palazzo Grazioli e conferma la linea dura, dando il via libera alla manifestazione nazionale del Pdl contro i pm politicizzati nello stesso giorno – il 13 febbraio – e nella stessa città – Milano – dove Fini terrà a battesimo il suo partito. Guerra politica e guerra mediatica. Non c’è nulla di penalmente rilevante, andiamo avanti e spieghiamolo alla gente è il messaggio che il premier affida ai suoi, convinto che i numeri per continuare a governare ci sono e l’asse con Bossi è solido. Linea dura, dunque, per rispondere colpo su colpo all’attacco concentrico cui da giorni è sottoposto su più versanti: quello giuridico coi pm di Milano, quello politico col terzo polo, Fini in testa.
L’altro tema della giornata è la decisione della Giunta per le autorizzazioni a procedere di respingere la richiesta di perquisizione domiciliare nei confronti del premier e rispedire il dossier alla procura di Milano sollevando la questione della competenza. Che tradotto vuol dire: il luogo deputato a pronunciarsi sull’accusa di concussione è il tribunale dei ministri. La decisione passa a maggioranza (11 a 8) e al voto non partecipa il finiano Giuseppe Consolo (legale di Fini) che aveva già manifestato perplessità proprio su questo aspetto.
E’ un segnale per il centrodestra, convinto di avere i numeri alla Camera chiamata a pronunciarsi dopo la decisione della Giunta. Visto l’esito della sfiducia a Bondi e il fatto che in questa fase nessuno vuole andare alle elezioni, nonostante i proclami di Bersani, Casini e la sfida al premier lanciata dai futuristi (“se davvero si vuole liberare di Fini lo faccia affrontando le elezioni”, ammonisce Bocchino) che fino a ieri insistevano sul passo indietro del Cav. e un governo alternativo senza ripassare dalle urne, c’è da ritenere che anche su questo passaggio per la maggioranza non dovrebbero esserci sorprese. Il centrosinistra boccia la decisione della Giunta definendola un “atto illegittimo”. Botta, risposta e nuova sfida in Parlamento.
Nel clima avvelenato della politica che assomiglia sempre più a una maionese impazzita, il rischio è che passino in secondo piano le cose da fare per il paese. Il Cav. lo sa bene e rilancia l’agenda di governo, a cominciare dalla riforma del fisco. Lo fa dalle colonne del Foglio chiarendo che il centrodestra non metterà mai un’imposta patrimoniale, come propone Amato e ipotizza Veltroni. Risposta al fango mediatico e giudiziario.