Sottomissione e linee di fuga
22 Dicembre 2015
di redazione
Sottomissione, l’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, è per prima cosa un fenomeno editoriale e come tale va inquadrato dal punto di vista dell’industria e del marketing culturale. Teresa Cremisi, “il primo ministro” delle lettere francesi (Flammarion, Madrigall, Gallimard, siamo nel cuore del sistema editoriale d’Oltralpe) ha confezionato il libro in modo formidabile, colpendo target di pubblico assai diversi.
Sottomissione è un thriller di fantapolitica che piace ai lettori impauriti dall’Eurabia, l’Europa islamizzata. E’ un racconto filosofico che attraversa la storia del pensiero francese del Novecento, rottamando il Sessantotto e la Teoria culturale. E’ un romanzo erotico-generazionale destinato a conquistare facilmente il pubblico giovanile. E’ il diario di un convertito che stuzzica i lettori neotradizionalisti, felici di scoprire che il Ventunesimo sarà il secolo delle religioni. E’, infine, un romanzo orientalista.
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Partiamo dal thriller fantapolitico. Chi ha recensito Sottomissione in Italia si è affrettato a catalogare il libro nel genere della distopia, la fantascienza che racconta l’esistenza di società alternative alla nostra, con assetti sociali, politici e tecnologici che di solito appaiono negativi e in certi casi apocalittici. La distopia in questo caso sarebbe la vittoria della Fratellanza Musulmana alle elezioni presidenziali del 2022 in Francia.
Marine Le Pen è sul punto di prendere il potere ma il centrosinistra e la destra moderata si alleano con l’islamico Ben Abbes per impedire la vittoria del Fronte Nazionale. I Fratelli musulmani vincono le elezioni, Madame Le Pen viene sconfitta e Ben Abbes diventa il primo presidente islamico della République. In una intervista alla Paris Review, Houellebecq ha spiegato che, a differenza dei suoi romanzi precedenti, stavolta l’Islam gli è servito semplicemente per imbastire una storia, come una «tecnica per mettere paura», pura fiction in grado di tenere il lettore avvinto alla pagina garantendo il successo del libro.
In realtà leggendo Sottomissione tutto sembra meno che distopia. Quello introdotto in Francia dal presidente Ben Abbes somiglia se mai a un Islam utopico, riformato, che ha fatto i conti con la modernità e la democrazia occidentale. Chi è Ben Abbes? Un presidente “eretico”, capace di modificare alcuni concetti chiave della religione musulmana come ha chiesto recentemente alle classi dirigenti del mondo arabo la dissidente somala Ayaan Hirsi Ali? Oppure somiglia al generale Al Sisi, la nuova guida dell’Egitto dopo il fallimento delle primavere arabe? Ben Abbes sogna un Islam europeo, capace di ricreare un nuovo Sacro Romano Impero, una unione aperta al Nord Africa, all’Egitto e alla Turchia, ipotesi neanche troppo fantascientifica se pensiamo alla Unione del Mediterraneo vagheggiata anni fa dall’ex presidente Sarkozy.
Il thriller in ogni caso non ha colpi di scena davvero eclatanti. Houellebecq non è Clancy e neppure Le Carré, anzi, cade anche in alcune evidenti incongruenze. L’autore racconta per esempio che dopo l’introduzione della sharia in Francia le donne smettono di lavorare e la disoccupazione maschile crolla da un giorno all’altro: peccato che molte e autorevoli ricerche in campo internazionale dimostrino che non c’è un nesso certo tra la riduzione dell’occupazione femminile e l’aumento di quella maschile. Nel nostro Mezzogiorno, per dire, le giovani donne hanno grandi difficoltà a trovare lavoro ma non è che per questo salga l’occupazione maschile.
Nel romanzo le università si islamizzano rapidamente e i professori si convertono soprattutto agli alti stipendi: grazie a ingenti flussi di denaro provenienti dalle centrali della predicazione salafita nel Golfo la Sorbona pare rivitalizzarsi. Senza dubbio da anni è in atto una penetrazione del wahabismo tra Nord Europa e Balcani ed è vero anche che in Europa vive una ricca e potente borghesia islamica, pensiamo a Londra, ma il Regno dei Saud non è tra i membri del G7. Il Pil della Francia è 2,4 miliardi di dollari, quello dell’Arabia Saudita si ferma a 740 milioni. Pensare a una colonizzazione entro un decennio pare eccessivo.
Quello che invece veramente colpisce nel romanzo è la rappresentazione del cortocircuito sociale e mediatico prodotto dalle elezioni del 2022. L’avvento al potere della Fratellanza Musulmana è anticipato da una serie di violenze intermittenti, squilli di colpi di Stato, blackout della informazione durante la transizione ‘rivoluzionaria’ (pp.28-29). Questa sensazione di inquietudine e di paura è l’aspetto più realistico di Sottomissione. Si capisce bene che ci troviamo nel mezzo di una guerra, la terza guerra mondiale, una guerra nell’Islam, che riguarda, per ora in modo asimmetrico, anche l’Occidente. Il giorno dell’attentato terrorista contro la redazione del giornale francese Charlie Hebdo, la copertina della rivista era dedicata proprio al romanzo di Houellebecq, appena uscito in libreria. La realtà si è rivelata molto più brutale della fantasia.
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Sottomissione è in verità un magnifico racconto filosofico sulla storia del pensiero francese del Novecento. Adesso possiamo chiederci chi è Francois, il professore universitario protagonista del romanzo, e di conseguenza che genere di intellettuale è Houellebecq. Tra la fine dell’Ottocento e nel corso del Novecento si discute moltissimo sulla funzione sociale dell’intellettuale: c’è lo specialista dedito allo studio della realtà, c’è l’accademico la cui autorevolezza deriva dalla produzione e dalla trasmissione del sapere, c’è l’esteta un po’ bohemien un po’ nichilista rinchiuso nella sua languida torre d’avorio. E poi ci sono loro, gli eredi dei philosophes dell’Illuminismo, gli intellettuali engagé che si mettono al servizio della “causa”, non per forza quella comunista, combattendo battaglie politiche in nome del progresso civile.
Nella Francia della Guerra Fredda il campione degli intellettuali impegnati è Jean Paul Sartre, più organico di un Albert Camus ai richiami del comunismo sovietico. Sartre partecipa al Maggio francese, scende in piazza con gli studenti, si ribella, viene arrestato e poi rilasciato quando il Generale De Gaulle pronuncia la celebre frase: “non si imprigiona Voltaire”. Dalla Nausea, il romanzo pubblicato negli anni Trenta, l’autore approda a un umanesimo basato sulla responsabilità etico-politica dell’intellettuale nei confronti della società e della Storia. Ma questa è antologia, il punto è un altro. Con Sartre valgono ancora i vecchi “universali”, i concetti sui quali si era fondata la modernità. Sartre sperimenta l’angoscia dell’uomo moderno, quella di un Io non identico a se stesso, ma nonostante tutto per il filosofo francese esistono ancora categorie come “soggetto”, “dialettica storica”, “identità”. Per quanto rivoluzionato, il mondo appare ancora quello di una volta.
Nel ventennio successivo le cose cambiano profondamente. Dalla fine degli anni Settanta e nel ventennio successivo, concetti universali come “Io”, “patria”, “chiesa”, “famiglia”, vengono fatti esplodere da un nuovo tipo di intellettuale, frantumato, disintegrato, l’intellettuale strutturalista, post-strutturalista, postmoderno, impegnato a smontare e a rimontare la dimensione della soggettività, a esplorare i confini della corporeità e della sessualità liberata. Deleuze e Guattari scrivono che “siamo macchine desideranti” regalandoci un anti-edipo totalmente svincolato dai condizionamenti di papà e mammà. Il materialismo trapassa nel relativismo e nella ostilità verso qualsiasi concetto universale, giudicato un essenzialismo insopportabile e in molti casi totalitario. Le grandi narrazioni dell’Occidente vengono messe da parte senza troppi complimenti.
La Teoria culturale “emigra” dalle università francesi per attecchire in quelle americane, radicandosi nei più celebri ed esclusivi campus americani. Negli ultimi vent’anni una enorme quantità di studi e di ricerche fatte negli Usa si sono rovesciate sulle accademie di mezzo mondo, cultural studies, gender studies, studi postcoloniali, in una progressiva americanizzazione dei processi educativi che Houellebecq mette alla berlina scrivendo Sottomissione. La critica dell’americanizzazione dei consumi, dei costumi e della istruzione universitaria, fa il paio con quella della globalizzazione e del multiculturalismo, altre parole d’ordine che intanto si imponevano nel dibattito pubblico dei Paesi occidentali.
Si può dire che proprio mentre il postmoderno imperversava in America e nel mondo anglosassone, in Francia maturava un ripensamento critico, una nostalgia delle vecchie narrazioni, un ritorno all’ordine che coincide con il revival identitario che ha attraversato il pianeta negli ultimi lustri, il prodotto degli sconvolgimenti storici della nostra epoca: il crollo del Comunismo, la fine della Guerra Fredda, la terza guerra mondiale islamica. In Francia è l’ora dei “nuovi filosofi”, Régis Debray, Andrè Glucksmann, Bernard Henry-Lévy. Viene rimesso al centro del discorso pubblico il tema dei diritti umani: si denuncia il genocidio in Cecenia per mano di Putin mentre si plaude all’intervento occidentale nei Balcani e al regime change iracheno.
Avviene un passaggio profondo: l’intellettuale rivoluzionario, organico o disorganico che fosse, l’accademico di sinistra che si era chiuso nel recinto universitario per resistere all’assedio del liberismo, perde la sua posizione dominante. Avanza il nuovo filosofo, di centrosinistra o di centrodestra, difficile dirlo, negli Usa il termine giusto è neoconservatore. E’ un intellettuale deciso a riempire di senso i vecchi universali sulle macerie prodotte dalla globalizzazione dei conflitti. Presenzia il dibattito pubblico, diventa una star della tv, viene coccolato dai giornali ed è ascoltato consigliere degli uomini politici. E’ l’intellettuale giusto per la mediocrazia, il regime virtuale e della informazione in cui siamo immersi. E Houellebecq? Anche lui viene “destrificato”, percepito cioè come un intellettuale di destra, quando invece ha una genealogia filosofica e delle appartenenze politiche molto più confuse e complesse. In ogni caso, nel 2010 l’autore vince l’ambito Prix Goncourt e arriva la consacrazione definitiva.
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Il bello di Sottomissione è che il racconto filosofico viene narrato sottoforma di romanzo erotico, prima di sfociare nel diario del convertito. Le prime venti-trenta pagine del romanzo che l’autore confessa di aver scritto di getto, in una sola seduta, colto dall’ispirazione, descrivono il passaggio dalla giovinezza all’età adulta di Francois. Conosciamo meglio il giovane studente che frequenta la Sorbona, alle prese con gli esami, con la tesi, ma soprattutto con tanti amori seriali che durano al massimo un anno accademico e poi finiscono in modo molto triste. Il narratore sembra provare quasi nostalgia per la vita che faceva un tempo, squattrinato ma felice, quando almeno era capace di cogliere il senso più profondo della letteratura (pp. 10-11).
Dopo la laurea il ricercatore si specializza su Joris-Karl Huysmans, il campione del decadentismo francese ed europeo, lo scrittore che si convertì al Cattolicesimo dopo una vita impiegatizia quanto dissoluta. Francois in questa fase della sua esistenza sente che dovrebbe mettere su famiglia, si rivede con alcune ex compagne di studi ma le ritrova donne cresciute (male) e incapaci come lui di costruire un progetto di vita insieme. Il passaggio dalla liberazione al consumismo sessuale è già in atto: ecco il Francois di oggi, docente affermato ma non celebre, arido, narciso, solitario e attratto da una giovane amante ebrea che lo lascerà per rifugiarsi in Israele con la famiglia dopo che in Francia vanno al potere i musulmani.
Il romanzo erotico-generazionale serve a Houellebecq per guadagnarsi un’altra fetta di pubblico, i giovani, quelli che negli anni Settanta avrebbero letto Porci con le ali. Nella boccaccesca corte universitaria di Sottomissione i giovani ritrovano tutta la miseria sentimentale dell’ambiente studentesco, per riprendere una celebre formula situazionista. Il pubblico giovanile sembra apprezzare la rappresentazione déraciné offerta dal romanzo contemporaneo: alle emozioni della grande letteratura ottocentesca si sostituiscono sesso e pornografia. Da Papà Goriot siamo a Dagospia.
L’accademia francese non ha mai amato Houellebecq rinchiudendolo a lungo in una specie di quarantena letteraria e con Sottomissione l’autore si prende la rivincita: tutto l’inizio del romanzo è una violentissima critica delle istituzioni universitarie figlie del Sessantotto, “sub specie sessualitatis”. Houellebecq erotizza la crisi delle humanities, degli studi umanistici, trasformandola in una metafora del declino occidentale.
Francois deve accontentarsi di una modesta cattedra a Parigi 3, uno dei campus satelliti creati sotto la spinta dell’istruzione di massa seguita agli anni Sessanta (p.23). Houellebecq non mette mai in discussione la legittimità della professione universitaria ma il giudizio sugli studi umanistici è sprezzante: sono inutili eccetto per quei pochi capaci di proseguire nella carriera universitaria. Per tutti gli altri, non resta che rivendersi sul mercato del lavoro sperando in quella “connotazione positiva” che la letteratura conserva ancora in comparti del sistema produttivo, come la moda o il turismo (p.14).
Queste considerazioni non hanno nulla di piacevole o di simpatico come del resto né piacevole né simpatico è il professor Francois, che sembra afflitto da una latente sindrome depressiva. Con il passare del tempo il suo lavoro si deteriora, lui è sempre più incapace di avere rapporti umani normali e di adattarsi ai ritmi produttivi – se non in modo parossistico (uscire di casa alle sette del mattino, con “la Francia che si alza presto”). Ma proprio grazie alla sinecura professionale, grazie a una occupazione di scarso impegno e di poca responsabilità, Francois può permettersi il lusso di coltivare una disperazione a tratti sgradevole e immeritata.
La rivolta sessantottina contro un sistema universitario antiquato, contro il patriarcato gollista, contro la Chiesa Cattolica, contro le istituzioni considerate repressive, cominciando dalla famiglia naturale, quella rivolta che sembrava aver liberato il soggetto ‘soggiogato’, in realtà ha prodotto personalità fragili, emotivamente instabili, sessualmente erranti, pronte a essere consegnata mani e piedi nelle braccia del mercato (pp.16-19). La rivoluzione sessuale è perfetta per l’individuo consumatore, per la coscienza un po’ cool e disinvolta dei giorni nostri. L’autore cita Les Bronzés, film culto sul ClubMed che sembra anticipare con più grazia il Billionaire di Briatore (p.20).
Francois prova a rifugiarsi anche nel virtuale, approda su Internet, frequenta i social network, visita YouPorn, sperimenta nuove forme di sensibilità che pure meriterebbero di essere indagate a fondo, ma Houellebecq si ferma alla superficie di questi fenomeni, senza chiedersi da chi è governato il web, chi sono e che modelli vogliono propinarci i membri di quella ristretta cerchia di suprematisti nerd inventori di una sessualità piatta e anodina (p.21).
Il protagonista del romanzo vorrebbe semplicemente accasarsi e riavere indietro l’identità sua e quella laica della Repubblica, ma siccome non ci riesce si abbandona al nichilismo turgido di Huysmans. Duc Jean Floressas Des Esseintes – il protagonista di “A Rebours”, il celebre romanzo di Huysmans passato nelle mani di D’Annunzio e Dorian Gray – si distacca dalla vita civile rinchiudendosi in una dimora elegantissima, dove si circonda di oggetti d’arte introvabili, convinto che si possa adorare il bello come se fosse Dio. Des Esseintes compra una tartaruga per usarla come elemento di arredamento, tempestando il guscio dell’animale con gemme intonate ai colori della sua casa, ma il peso dei preziosi schiaccia letteralmente la tartaruga, uccidendola, il peso della bellezza spinge l’artista alla follia, verso quel pensiero ricorrente che è il continuo atto mancato di togliersi la vita.
Al bohémien non resta che convertirsi, nella prima stesura di Sottomissione alla religione cattolica, in quella definitiva all’Islam, anche se quella di Francois è una conversione di comodo, è come se il narratore sfruttasse l’Islam per ridare senso alle vecchie appartenenze politiche, ai concetti di destra e sinistra in disuso. L’Islam può servire da un lato a reinterpretare i valori tradizionali come la famiglia e dall’altro i valori progressisti alternativi al liberismo capitalista. «Se l’Islam non è politico non è niente», disse una volta l’ayatollah Khomeini, una frase alla quale Houellebecq dà grande risalto nel romanzo.
Francois approda alla religione non perché gli interessi praticare una fede bensì perché è alla ricerca di un potere temporale stabile, sogna un ordine sicuro e millenario nel quale riconoscersi. Il narratore non crede in Allah più di quanto non creda nella Madonna. La scena chiave del libro è proprio quella in cui Francois resta come ipnotizzato dalla Madonna Nera di Rocamadour nella cattedrale di Notre-Dame, provando una sorta di esperienza mistica, «sentendo come un potere spirituale, come delle onde,» dice Houellebecq alla Paris Review, «e tutto a un tratto la Madonna svanisce nel passato e lui torna nel parcheggio, solo e sostanzialmente disperato» (pp.142-146).
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Francois non è un vero “reborn” come li chiamano negli Usa ma è convinto che il Ventunesimo secolo sarà il secolo delle religioni. La conversione all’Islam gli serve soprattutto per ottenere dei vantaggi pratici nella sua vita privata. Finalmente il protagonista del romanzo può farsi la famiglia che voleva, poligamica, s’intende, e dunque avere più mogli, una giovane donna con la quale accompagnarsi nelle stanze da letto, un’altra che si prenda cura di lui con le cose di casa, un’altra ancora con cui parlare e confrontarsi… E’ una rappresentazione che serve a Houellebecq per soddisfare le fantasie del maschio occidentale che può di nuovo provare l’ebbrezza di un patriarcato soft.
Ma Houellebecq pecca di orientalismo. Finisce vittima di quelle idee ricorrenti che si sono incrostate nel corso dei secoli dentro il nostro cervello quando si parla di Oriente e che si riaccendono al connettersi di determinate terminazioni neurali. La Francia di Houellebecq, come quella di Huysmans e del suo amico orientalista Luis Massignon, la Francia dei convertiti come Guénon, Péguy, Bloy, questa Francia aristocratica e altoborghese, affascinata dallo spiritualismo e dal tradizionalismo religioso, continua da secoli a essere sedotta dalla bella Salomè, dalla danza voluttuosa di una giovane donna orientale che permette alla fantasia dell’uomo occidentale di volare (basso) tra le pagine del Corano come se fossimo nella Histoire d’O.
In una delle scene del romanzo, il narratore fa sesso con una giovane di origine nordafricana chiamata Rachida. L’esperienza provata da Francois ha del sublime, segna quasi una rigenerazione del personaggio, ma in realtà è un palliativo, lo stesso esercizio distorto che si prova andando a fare sesso a Cuba o nelle Filippine, rifugiandosi nell’esotismo. Si nasconde così il vero problema di Francois che poi è il tema di tutti i romanzi di Houellebecq: come fronteggiare la perdita del desiderio sessuale di un uomo sulla soglia dei cinquant’anni.
Dopo aver preso atto che nella decadente società dei consumi occidentale ogni piacere è lecito ma proprio per questo abbiamo perso la capacità di sperimentarlo, Houellebecq costruisce una visione fantasticata dell’Islam, che permette al protagonista di mantenere in vita il suo appetito sessuale eliminando l’apatia e l’insoddisfazione provocate dalla sbornia post-sessantottina. Ma è un Oriente di maniera, come nei dipinti di Cabanel o di Von Stuck. Usare l’Islam come un freno alla decadenza della società francese è una caricatura delle paure che circolano oggi sui fondamenti della nostra cultura.
La verità è che Francois soddisfa le proprie fantasie usando gli altri, in questo caso le donne e i musulmani, come un elemento di gratificazione. Non è la prima volta che accade nel club orientalista. Il problema è che il libro sembra predicare gioiosamente (e colpevolmente) questa subordinazione: fantasie del genere non solo andrebbero soddisfatte ma garantite dallo Stato (p. 252).
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Quali sono allora le vie di fuga alla sottomissione? La realtà odierna è un attimo più complessa di come la descrive Houellebecq. La famiglia tradizionale come l’abbiamo conosciuta da secoli in Occidente non è un dinosauro destinato all’estinzione, come sembrerebbe far credere l’autore, tanto più che in Francia negli anni scorsi si sono viste grandi mobilitazioni proprio in difesa della famiglia. Se mai è Francois che si dimostra incapace di costruirne una.
Del resto la nostra società che sta cambiando in un modo che non emerge dal libro dello scrittore francese. Oggi posso avere una moglie o una compagna e dover vivere separato da lei per ragioni di lavoro ma non per questo il risultato è che dovremo per forza separaci. Posso dividere la mia casa con degli amici e loro potrebbero aiutarmi ad avere cura di mio figlio. Posso fare molte altre cose, e alcune come sappiamo anche discusse e controverse. Anche Houellebecq si era fatto una fama di scrittore controverso ma questa volta ignora le nuove forme di essere adulto nel Ventunesimo secolo. E’ il marketing letterario, bellezza?
(L’edizione citata è quella Bompiani 2015)