Sud, fondi europei e sfida alla globalizzazione
02 Aprile 2015
di redazione
E’ bene che si parli di Sud. Qualcuno nei giorni scorsi ha scritto che il presidente del Consiglio Renzi finora è sceso con poca decisione oltre il Garigliano, tanto che in diverse Regioni meridionali ci si confronta con un Pd ben diverso dal profilo impresso dal leader a livello nazionale.
E’ bene che se ne parli perché i dati che arrivano da questa parte dell’Italia non sembrano confortanti, "drammatici e disperati", li ha definiti oggi Massimo D’Alema, si pensi al tasso di disoccupazione che sale maggiormente tra le donne e giovani lavoratrici, per fare un solo esempio.
Oppure alla complessità delle procedure per partecipare e vincere i bandi europei, processi a volte farraginosi che da una parte dobbiamo superare battendoci per la semplificazione a Bruxelles, dall’altra bisogna saper padroneggiare per gestire fino in fondo le risorse comunitarie.
Non con finanziamenti a pioggia ma attraverso grandi progetti mirati, favorendo quei meccanismi premiali e di mobilità nella Pubblica Amministrazione laddove essa si sia dimostrata capace di recuperare il gap istituzionale accumulato dal Sud nella programmazione europea.
Fin dalla sua nascita, il Nuovo Centrodestra ha puntato a rovesciare l’approccio assistenzialista e statalista che da decenni caratterizza gli interventi per il Sud, cercando di colmare lo svantaggio competitivo di questa area del Paese e per garantire un completo utilizzo dei fondi Ue, che sono poi i nostri soldi, quelli con cui l’Italia ogni anno contribuisce ai programmi europei.
Per il Nuovo Centrodestra è strategico introdurre meccanismi fiscali di vantaggio che permettano al Sud di attrarre gli investimenti esteri, rafforzando quei comparti che sviluppano la naturale vocazione imprenditoriale della economia meridionale, nel turismo, nell’agroalimentare, nell’energia e nella integrazione multimodale delle reti di trasporto nel Mediterraneo.
Il Mezzogiorno è cambiato. Le vecchie reti di intermediazione, i sistemi clientelari e le provvidenze della spesa pubblica non reggono più nell’era della crisi dei debiti sovrani. Il Sud deve tornare ad attrarre investimenti e può farlo solo migliorando la situazione di contesto, la legalità e la certezza del diritto, le condizioni di sicurezza, le reti infrastrutturali, l’accesso al credito.
Tutto questo deve essere fatto tenendo presente che non c’è solo il nostro Mezzogiorno ma tanti altri sud del mondo con i quali bisogna competere. Sono questioni complesse che devono diventare prioritarie nella politica nazionale, coinvolgendo le classi dirigenti dei partiti in un confronto trasversale aperto ai pensatoi, alle fondazioni e ai centri di ricerca, creando reti di persone che inizino ad affrontare di nuovo e seriamente il problema politico del Mezzogiorno nell’epoca della globalizzazione.
Ncd è partita dai territori, dal rinnovamento della classe dirigente locale, e proprio nel Mezzogiorno, in Calabria, ha ottenuto uno dei risultati più apprezzabili, in quel percorso di alternativa alla sinistra e alla destra estrema. Ricordiamo la festa nazionale del partito nel 2014, quel "Borgo Popolare" tra le campagne di Ceglie Messapica e Convernano, in Puglia, una regione dove Ncd si batte dalla prima ora con il candidato del centrodestra Schittulli per vincere nel prossimo appuntamento elettorale.
Come pure quel convegno su Tatarella del 12 febbraio scorso, che è stato un importante momento di confronto tra le anime del centrodestra italiano, tra moderati, liberali e conservatori, decisi a ripartire sulle orme di chi quella casa comune seppe intravedere prima di altri.