Sui rapporti col governo Fini attacca senza ragionare

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Sui rapporti col governo Fini attacca senza ragionare

03 Ottobre 2008

Gianfranco Fini sta di contraggenio. La presidenza della Camera che ha così fortemente voluto s’è rivelato un vestito che non calza come vorrebbe. Così si ingegna con orli e riprese: un po’ più di politica qui, un po’ più di istituzione lì. Così in questi giorni fa un po’ il Veltroni e un po’ il Casini, difende la primazia del Parlamento e  insieme manda segnali al governo come a dire: dovete continuare a fare i conti con me.

La polemica sollevata dal capo dell’opposizione contro la prepotenza del governo gli ha dato una buona occasione di visibilità e di facile consesno. Il Parlamento è pieno di eletti sconsolati e depressi, sia nell’opposizione che nella maggioranza. Pigiare bottoni non rende felici anche se in cambio di lauti stipendi. Così un po’ di richiamo all’orgoglio di bandiera non guasta. Ma se Fini fosse un po’ più attento al merito delle questioni e non ne facesse un uso solo propagandistico (cosa che può essere compresa nel caso di Veltroni ma non nel suo) capirebbe che la colpa di tutto ciò non è solo del governo e non particolarmente di questo governo.

Gli sarebbe bastato ascoltare l’audizione del ministro per i rapporti col Parlamento, Elio Vito, che proprio alla Camera, qualche giorno fa, ha fatto un quadro preciso  della situazione.  Ne riportiamo qui di seguito una sintesi del tutto arbitraria, ma utile, ci pare, a capire che non si tratta di regolare un braccio di ferro tra un governo muscolare e un Parlamento rivendicativo. Non è un incontro di Wrestling come qualcuno vorrebbe farlo apparire, ma una partita che tocca il fondo vero del funzionamento democratico e che non è destinata a finire con vincitori e vinti.

 

Dall’audizione del minstro Elio Vito nelle Commissione Affari Costituzionali riunite il 24 settembre 2008

“Per quanto riguarda il ricorso alla decretazione d’urgenza, ricordo che l’emanazione di decreti legge a inizio legislatura costituisce una tendenza fisiologica nelle fasi di passaggio tra maggioranze politiche diverse: l’istruttoria parlamentare sui disegni di legge ordinari è, naturalmente, ancora incompiuta e vi è la necessità di adottare tempestivamente interventi per avviare l’azione del Governo. Inoltre, il nuovo Governo è entrato in carica dopo un lungo periodo di transizione, conseguente alla lunga crisi della precedente maggioranza sfociata nella mancata fiducia del gennaio 2008, che aveva fatalmente fatto accumulare diverse questioni urgenti nell’agenda del Presidente del Consiglio. 

Ciò è del resto dimostrato dalla circostanza che il Governo ha fatto ricorso a tali provvedimenti solo in casi di reale emergenza: Alitalia, rifiuti in Campania, sicurezza, termini di legge in scadenza, interventi fiscali e di finanza pubblica. In merito, invece, alla problematica dell’utilizzo dei maxi emendamenti governativi, approvati con l’apposizione della questione di fiducia e al conseguente affievolimento del ruolo delle Camere, mi preme sottolineare che l’Esecutivo in questi mesi ha sempre perseguito la finalità di operare nel pieno rispetto delle prerogative del Parlamento. 

In particolare:

– ha posto la questione di fiducia in un numero limitato di casi su 19 decreti legge solo 5 volte, mentre nel corrispondente periodo della precedente legislatura su 11 decreti è stata posta 7 volte;

– ha riprodotto nei testi degli emendamenti governativi le modifiche approvate dalle commissioni di merito;

– non ha mai introdotto nei decreti, attraverso i maxi emendamenti, alcuna norma aggiuntiva rispetto ai testi approvati dalle commissioni parlamentari. Le modifiche introdotte nei “maxi emendamenti” sono state tutte oggetto di attento esame in commissione. 

Importanti novità sono state introdotte anche con riferimento alla configurazione della decisione annuale di finanza pubblica. L’adozione del decreto legge n. 112 dello scorso giugno ha, infatti, rappresentato un fattore di innovazione del nostro sistema istituzionale che il Governo reputa estremamente positivo. Sul piano ordinamentale vorrei invece segnalare alcuni punti rilevanti. Innanzitutto, occorre considerare come l’anticipo a fine giugno della presentazione della manovra da parte del Governo sia servito, in primo luogo, a concentrare la decisione e a garantire alla stessa un’efficacia superiore a quella sperimentata negli ultimi anni. Non è, infatti, un caso che l’esame parlamentare del decreto non abbia dato luogo a quel fenomeno di dilatazione del contenuto normativo che in misura maggiore o minore ha caratterizzato le ultime sessioni di bilancio. Significativamente si può sottolineare come il testo abbia avuto un incremento limitato del numero delle disposizioni, passando da 501 commi a 701, con un incremento percentuale di circa il 140%, a fronte delle due finanziarie precedenti, relativamente alle quali, come detto, l’aumento del numero dei commi è stato rispettivamente del 270% e del 236% (vedi la relativa Tabella nella documentazione allegata). Né vi è stato quello stravolgimento del testo elaborato dalla Commissione con la presentazione di un maxi emendamento governativo che, come è accaduto in passato, recasse disposizioni relative a questioni non esaminate in Commissione.

Infatti, il Governo, pur composto da soli 21 ministri e 40 sottosegretari, con una riduzione di ben 40 componenti rispetto al passato, per effetto della riforma introdotta con la legge finanziaria 2008, ha sempre assicurato la presenza in Parlamento dei suoi rappresentanti, per lo svolgimento sia delle attività legislative, che di indirizzo e controllo nelle Aule e nelle 28 commissioni permanenti. 

Sul piano delle scelte di merito, credo sia fondamentale soffermarsi su un punto. Ripercorrendo le criticità sulle quali mi sono soffermato si può notare come tutte siano caratterizzate da un fattore comune. L’eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza, i maxi emendamenti e le questioni di fiducia, le leggi finanziarie omnibus, sono, a ben vedere, tutti tentativi patologici, di compensare una debolezza strutturale del nostro procedimento legislativo ordinario: la mancanza di certezza sui tempi di conclusione dell’esame parlamentare dei provvedimenti.

In effetti, il fattore tempo è un elemento decisivo nella concreta configurazione di una procedura decisionale. Si tratta di un elemento strutturale di ogni sistema democratico, il quale però acquista importanza ancor maggiore oggi, quando i processi di globalizzazione economica e sociale, la concorrenza fra gli ordinamenti nazionali, rendono indispensabile che la risposta delle istituzioni sia non solo efficace nel merito ma anche tempestiva. 

Il modello consociativo che ha dominato per qualche decennio il nostro Parlamento, ancor prima che sulle previsioni costituzionali o sulla legge elettorale, si basava su un procedimento legislativo nel quale la questione dei tempi di conclusione dell’esame era tutta demandata alla negoziazione politica. Al Governo veniva negato ogni strumento per la guida del procedimento legislativo, come, invece, avviene, ad esempio, in Francia o in Inghilterra.

Dai regolamenti del 1971, che sublimavano l’impianto consociativo rendendo l’accordo con l’opposizione nei fatti indispensabile ai fini del buon funzionamento delle Camere, sono stati fatti molti passi in avanti. Le modifiche regolamentari degli anni Ottanta e Novanta, in particolare la riforma del 1997, con la programmazione dei lavori ed il contingentamento dei tempi, hanno costituito un parziale rimedio. Il perdurare delle criticità evidenziate mostra, però, come occorra completare quel percorso di riforma.

In questa prospettiva, sarebbe auspicabile introdurre nel nostro sistema meccanismi idonei a garantire maggiore certezza nella programmazione dei lavori parlamentari e nei tempi di conclusione dei procedimenti di esame dei disegni di legge considerati “prioritari” per l’attuazione del programma di Governo, introducendo al contempo meccanismi in grado di esaltare il ruolo di controllo e di indirizzo del Parlamento oggi troppo spesso mortificato da un andamento dei lavori farraginoso e scarsamente concludente. 

Si tratta del resto di strumenti da anni esistenti in tutti i maggiori ordinamenti europei: tra gli altri, Regno Unito, Germania, Spagna e Francia. Un’innovazione del genere riuscirebbe, da un lato, a rispondere in modo adeguato al bisogno di tempestività e di efficacia che proviene dalla società e dall’altro, a ridurre se non addirittura ad azzerare le patologie che oggi vive il sistema.