Sul cinema Napolitano sbaglia: meglio la separazione tra Stato e Arte
04 Maggio 2012
di redazione
Dice Giorgio Napolitano: "bisogna abolire la distanza tra il mondo della politica e quello della cultura", e lo dice davanti alla solita platea frignante dei cinematografari italiani riuniti per il solito premio David di Donatello.
Pochi fondi dal governo, poca attenzione dalla politica, poco sostegno al cinema d’autore, poca considerazione per un vanto dell’Italia nel mondo (?)…insomma tutto il repertorio delle lamentele dispiegato davanti al presidente della Repubblica pronto a solidarizzare. Napolitano ha lamentato "la non attenzione della politica per il cinema" e ha fatto anche mea culpa per non aver, lui stesso politico, fatto abbastanza per la settima arte.
Vorremmo provare a tranquillizzare il capo dello Stato: tra le sue eventuali colpe, quella di aver trascurato i cinematografari italiani non si farà notare e anzi potrebbe volgersi in merito.
L’idea che lo Stato, specie quando versa in uno stato di irresolvibile indebitamento e ricorre oltre il tollerabile alle tasse dei cittadini, debba sovvenzionare il cinema o qualsiasi altra forma d’arte ci pare sempre più stravagante. A meno di non voler definire qualcosa come "Arte di Stato", il che sarebbe folle sotto altri aspetti.
In America se ne discute da tempo e senza le ipocrisie e le bellurie che adorano il dibattito italiano. Basta leggere quello che ha recentemente scritto su The New York Times, David Boaz, vice presidente del Cato Institute: "I padri fondatori sapevano che la soluzione alle guerre di religione era la separazione tra Stato e Chiesa. E poichè l’Arte è altrettanto spirituale, significativa e potente di una religione, è giunto il tempo di concedergli la stessa indipendenza e lo stesso rispetto di cui godono le religioni: la separazione tra Stato e l’Arte".
"Cesare deve morire" è appunto il titolo del film dei Taviani premiato con il Davide di Donatello. E rischia certamente la morte se lo si vuol costringere a finanziare il dio del cinema.