Supertuesday: poco Super, molto crazy
08 Febbraio 2008
di redazione
Mitt Romney ha annunciato il suo ritiro. Per McCain, dunque, la
domanda non è più se otterrà la nomination repubblicana, ma quando.
Come opportunamente ha scritto David Broder del Washington Post, il
duello all’ultimo delegato tra Obama e Hillary non deve sminuire il
significato del successo di John McCain nel campo repubblicano. Nel suo
articolo, significativamente intitolato “The Formidable McCain”, Broder
passa in rassegna una serie di giudizi positivi e soprattutto
bipartisan sul senatore repubblicano. Il 4 novembre è ancora lontano,
eppure, sottolinea il giornalista, McCain è l’unico candidato di
entrambi i partiti che pesca voti tra i Repubblicani, gli Indipendenti
e i Democratici.
McCain, però, non ha conquistato ancora il
nocciolo duro dei conservatori. Quei true conservatives pronti a
fidarsi più di Mike Huckabee che del senatore dell’Arizona. Non a caso,
ipotizzando già il ticket repubblicano per la Casa Bianca, non si
esclude che McCain possa scegliere proprio l’ex governatore
dell’Arkansas quale candidato vicepresidente. L’ex veterano del
Vietnam, ha scritto in prima pagina il Wall Street Journal di mercoledì
scorso, divide la base repubblicana, ma aumenta la sua eleggibilità. I
repubblicani – anche quelli che lo vedono come fumo negli occhi per le
sue posizioni centriste su immigrazione, cellule staminali,
finanziamenti elettorali e global warming – sanno che McCain è il
candidato del GOP con più chance per riconquistare la Casa Bianca.
Ancora in questi giorni, il radiocommentatore icona della destra, Rush
Limbaugh, ha dichiarato che McCain è un Democratico e non ha niente a
che vedere con i Repubblicani. Tuttavia, sempre più elettori (e grandi
elettori, come per esempio Newt Gingrich) cominciano a vedere il
“ribelle” McCain, the maverick, come l’unico repubblicano in grado di
succedere a George W. Bush.
Obama-Hillary, sfida infinita
Decisamente
più incerta la strada che porta i Democratici a Pennsylvania Avenue. Se
è vero che Hillary Clinton ha vinto nelle roccaforti liberal
(California e New York) Barack Obama ha conquistato voti nell’America
profonda, laddove i Repubblicani hanno sempre prevalso sul partito
dell’Asinello. D’altra parte, la grande partecipazione al voto nelle
primarie democratiche affonda le sue radici nella capacità di
attrazione che Obama esercita sulle giovani generazioni. Mai tanti
ragazzi si sono recati alle urne per scegliere il proprio candidato
alla presidenza. Diversi anche i segmenti elettorali su cui si basano
le vittorie di Hillary e Obama. La senatrice di New York va forte con
gli over 60 e gli ispano-americani. Il senatore dell’Illinois spopola
tra gli afro-americani e i giovani. Fallito il tentativo di Hillary di%0D
mettere KO Obama nel Supertuesday, dunque, si prevede ora una campagna
elettorale lunga e dispendiosa.
Nell’establishment democratico,
il timore è che Obama e la Clinton si logorino in una competizione
senza esclusione di colpi, a tutto vantaggio di McCain. Per sventare
questo scenario, c’è chi propone di formare il dream ticket democratico
con la prima donna e il primo afro-americano alla guida della
superpotenza. “Clinton, Obama: Why Not Both?”, titola il settimanale
Time. Ma è lo stesso autore dell’articolo, Michael Duffy, a riconoscere
che al momento è impensabile un’accoppiata del genere. E poi, con
Hillary presidente, Obama sarebbe costretto a fare il numero 3, dietro
a Bill. Impossibile per Obama. Come è noto, i rapporti tra i due si
sono congelati dopo gli attacchi dell’ex presidente, prima del voto in
South Carolina. C’è poi un dato dell’ ultima ora che rafforza le
quotazioni di Obama: sono i 30 milioni di dollari che ha raccolto a
gennaio, mentre Hillary Clinton è a corto di fondi elettorali. La
senatrice ha dovuto sborsare 5 milioni di dollari di tasca sua per
ravvivare la campagna elettorale. Anche in questo caso, Cinton e Obama
si rivolgono a due Americhe. La prima è finanziata dai grandi gruppi
economici, i quali hanno già dato e non è detto che stacchino altri
assegni. Il secondo, invece, è sostenuto da un esercito di piccoli
finanziatori che fanno donazioni (per il 90 per cento sotto i 100
euro), utilizzando Internet e che, così pare, non hanno intenzione di
mollare il loro beniamino proprio adesso.
Tempo di primi bilanci
Ma
a che punto siamo, allora, nelle presidenziali americane? Domani, si
celebra un nuovo round elettorale – Kansas (GOP), Lousiana, Nebraska
(Dem.), Washington – ma, a tre giorni dal Supertuesday, sulla stampa
americana c’è ancora spazio per analisi sui risvolti delle
superprimarie di martedì scorso. Sul vero vincitore del Supertuesday i
pareri sono discordi. Tutti concordano, invece, che queste elezioni
presidenziali stiano assumendo uno sviluppo davvero inedito. Michael
Barone, uno dei politologi conservatori più apprezzati, ha dovuto
ammettere che molte previsioni formulate dai cosiddetti esperti,
all’inizio delle primarie – solo un mese fa, con il voto in Iowa – sono
andate in fumo.
La sfida è aperta, perché aperto è lo scenario
politico”, ha annotato Barone sul Wall Street Journal, all’indomani del
Supertuesday. Secondo il resident fellow del centro studi
neoconoservatore, American Enterprise Institute, questa incertezza
deriva anche dagli errori compiuti dagli strateghi delle campagne
elettorali. Un tapiro a stelle e strisce se lo meritano i due candidati
che, per tutto il 2007, sono stati i frontrunner dei rispettivi
partiti, Hillary Cinton e Rudy Giuliani. La ex First Lady aveva puntato
tutto (compresi i soldi) sui primi Stati chiamati al voto per chiudere
la partita nel Supertuesday. L’ex sindaco di New York si è
politicamente suicidato con la sua strategia attendista, che ne ha
determinato l’eliminazione prima ancora di iniziare la corsa.
Supertuesday: poco Super, molto crazy
Dal
canto suo, lo storico della Stanford University, Victor Davis Hanson,
ritiene che queste “strane elezioni” siano il riflesso di una strana
contingenza, con l’America ancora in guerra in Iraq e Afghanistan e
alle prese con un’economia che dà preoccupanti segnali di cedimento. Il
risultato è che anche il Supertuesday non è poi stato così super.
Hanson ricorda che, nel giro di qualche settimana, abbiamo assistito ad
un continuo rovesciamento di fronti. Obama, che doveva rivestire solo
il ruolo di affascinante comparsa, vince a sorpresa in Iowa. Hillary
sembra all’improvviso spacciata, ma (anche grazie alle ormai famose
lacrime) risorge in New Hampshire e pare prendere il largo con le
vittorie in Michigan (simbolica) e Nevada. Obama però risorge con il
successo in South Carolina e lo straordinario risultato, in termini di
Stati conquistati, nel Supertuesday.
Anche tra i conservatori,
si sono susseguiti i colpi di scena. Alla vigilia delle primarie, il
favorito dei sondaggi è Giuliani, che però rinuncia a correre nei primi
Stati. L’Iowa va ad Huckabee, forte del voto evangelico, ma McCain
inizia la sua riscossa con il successo in New Hampshire. Romney, che
sembrava al tappeto, si rimette in corsa con la vittoria in Michigan.
Il senatore dell’Arizona ritrova il suo momentum in South Carolina,
consolida le sue chance in Florida (dove Giuliani esce di scena) e si
laurea vincitore del Supertuesday. Exploit che viene tuttavia in parte
ridimensionato (almeno in termini politici) dal successo di Huckabee,
nel sud degli States. Poi, ieri, l’uscita di scena di Mitt Romney.
Insomma, ironizza Hanson: “It’s a crazy year”