Thailandia. Forze antigovernative costringono l’esercito a ritirata

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Thailandia. Forze antigovernative costringono l’esercito a ritirata

27 Marzo 2010

Sotto la pressione di 80 mila "camicie rosse" che li hanno circondati pacificamente, alcune migliaia di soldati thailandesi hanno abbandonato oggi 8 accampamenti militari a Bangkok, parte del cordone di sicurezza predisposto dal governo di Abhisit Vejjajiva contro i sostenitori dell’ex premier Thaksin Shinawatra.

I manifestanti, in piazza ormai da 2 settimane per chiedere lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni, si sono divisi in mattinata con l’obiettivo di "far tornare l’esercito nelle caserme", come li ha incitati il leader Veera Musikhapong. Dopo che i dimostranti avevano minacciato di far irruzione negli accampamenti – eretti in diversi complessi, tra cui alcuni templi e uno zoo – i vertici militari hanno dato l’ordine di ritirata, per evitare scontri.

I "rossi" hanno dichiarato vittoria, facendo poi ritorno al campo base della protesta, nella parte storica della capitale. In seguito, un portavoce dell’esercito ha specificato che i militari sono stati semplicemente trasferiti in altre strutture temporanee, non nelle caserme. Nonostante il successo riportato oggi dai dimostranti, la situazione rimane in fase di stallo.

Dopo il corteo che sabato scorso ha paralizzato Bangkok si era diffusa la speranza di un negoziato, ma le trattative si sono già arenate. Abhisit, salito al potere nel dicembre 2008 grazie a un ribaltone parlamentare, da 15 giorni vive e lavora in una caserma alla periferia di Bangkok, dando l’impressione di voler aspettare che la protesta si sgonfi da sé.

Decine di migliaia di manifestanti – la maggioranza dei quali sogna un ritorno di Thaksin, in autoesilio dopo essere stato deposto da un golpe nel 2006 – rimangono però in piazza, mentre dalle province arrivano rinforzi. Tra i dimostranti, la soddisfazione per aver dimostrato la loro adesione ai principi della non violenza fa il paio con la frustrazione per i mancati progressi. "Siamo al punto di rottura – ha detto oggi Nattawut Saikua, un altro leader del movimento popolare -. Se perdiamo, probabilmente andremo in prigione. Se vinciamo, riavremo la democrazia".