Il volto di un’America lacerata. Questo appare dal contenzioso davanti alla Corte Suprema che, come già riferito da questo giornale, segna un salto di livello nella partita post-elettorale perché riguarda non i presunti brogli ma le regole stesse del gioco, con l’estensione illimitata del voto per corrispondenza in corso d’opera e la proroga dei limiti temporali per il computo delle schede senza un passaggio legislativo di rango costituzionale.
Come riferisce l’agenzia di stampa Nova, sono ormai 39 gli Stati che hanno preso posizione nella madre di tutte le battaglie, oltre a diversi deputati e a parti terze. Diciannove Stati sono schierati sul fronte del Texas, che accusa Pennsylvania, Georgia, Michigan e Wisconsin di aver cambiato le carte in tavola e chiede il rinvio dell’appuntamento chiave del 14 dicembre, quando i grandi elettori sono chiamati a incoronare il nuovo inquilino della Casa Bianca. Venti procuratori generali democratici – tutti i “blu” tranne il general attorney dell’Iowa, che non ha assunto posizioni – hanno invece nelle ultime ore preso le difese dei quattro Stati sotto accusa. Neutrale in tribunale, infine, il procuratore dell’Ohio, che però si è espresso contro il ricorso del Texas. Il quale tuttavia, oltre alla prevedibile discesa in campo dello staff di Donald Trump e all’adesione – come detto – di altri diciotto Stati, ha incassato l’istanza formale di Missouri, Arkansas, Louisiana, Mississippi, South Carolina e Utah per unirsi alla causa. E – dato ancor più significativo – analoga richiesta da parte dei parlamentari di Michigan e Pennsylvania i quali, schierandosi contro i propri Stati di appartenenza, contestano loro di aver modificato unilateralmente le norme
elettorali prima del voto.
Come spiega ancora l’agenzia Nova, il ricorso del Texas contesta l’integrità del processo elettorale nei quattro Stati-chiave che hanno assegnato la vittoria a Joe Biden, qualificando la vicenda come “importante questione costituzionale”, fattispecie prevista dall’ordinamento statunitense. I 18 Stati scesi in campo a sostegno ritengono che le modifiche apportate alle norme elettorali in Pennsylvania, Georgia, Michigan e Wisconsin violino il principio di separazione dei poteri nella sfera cruciale della regolamentazione delle elezioni. Ampiamente condivisa dai ricorrenti, infine, l’argomentazione secondo la quale il cambio di regole a ridosso delle elezioni abbia significativamente aumentato il rischio di frodi, perché l’improvvisa espansione del ricorso al voto postale avrebbe allentato i criteri di vigilanza sulla sua regolarità.
La palla, ora, passa alla Corte Suprema. Mentre l’orologio corre e il 14 dicembre si avvicina.