Trump snobba Greta in nome dei popoli liberi

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Trump snobba Greta in nome dei popoli liberi

Trump snobba Greta in nome dei popoli liberi

25 Settembre 2019

Non sappiamo se – come prevede Donald Trump – l’avvenire appartenga alle nazioni indipendenti e sovrane. Considerati i tempi, ci accontenteremmo di un’assicurazione sulla libertà e sulla autodeterminazione dei popoli ma, per quanto la chiave sovranista oltrepassi la nostra visione del mondo, che rimane conservatrice e liberale, quindi timorosa di un sigillo posto alla base delle relazioni tra soggetti internazionali, bisogna ammettere che quando il presidente statunitense attacca pancia a terra la società degli eguali ma su carta, quella globalista, a noi scappa un sorriso di approvazione.

E ci riporta con la mente a quel novembre 2016, a quando la realtà ha assalito la cortina di ferro del progressismo esasperato. E un incubo chiamato Hillary Clinton si è fatta da parte. L’Onu non è un emanatore di autarchia. Eppure Trump sceglie quella argomentazione, quella sul domani appartiene agli autosufficienti, per questa assise, l’assemblea generale delle Nazioni Unite. E negli altoparlanti dell’ideale sovranazionale risuona fremente il nazionalismo. Un provocatore nato o un fine condottiero della storia, che sfugge ai desiderata di chi vorrebbe che la fine dello Stato nazionale fosse un comandamento di fede. Anche presumere di conoscere il modello unico per tutti è un atteggiamento illiberale. L’uomo che sta per affrontare, per l’ennesima circostanza in questi quattro anni, un disegno di provenienza Dem volto all’impeachment, ha rivendicato finanche la natura pacifica del gigante geopolitico che presiede. Non ha torto. Se lo avesse affermato Barack Obama, dati alla mano, allora avremmo potuto schernire l’enunciazione. Tra quattordici mesi potremo fare un’analisi più accurata delle bombe sganciate dalla gestione Trump. Per ora, in proporzione al passato americano, sono poche. Gli statunitensi, che non sono poi così guerrafondai come si racconta, ne terranno conto. La politica, ora come ora, è impegnata nella rincorsa all’ecologismo integrale. Sapere che c’è ancora qualche leader che si occupa d’immaginare il mondo che verrà senza aver bisogno di agitare il quantum degli inquinanti emessi fa ben sperare. Perché l’ambiente sarà anche importante, ma non può essere elevato al ruolo di sovrastruttura ideologica: la politica deve continuare a governare i processi.

L’ambientalismo ecologista è l’ennesima delega che le scienze politiche firmano in favore dell’economia. Trump, per fortuna, ragiona di sistemi e non solamente dei loro effetti. In questa chiave, sovranismo e conservatorismo non possono che allearsi. La sufficienza con cui il capo della Casa Bianca ha trattato Greta Thunberg può essere stata apprezzata o no, ma serve da memento: chi si occupa della cosa pubblica non può sottostare alle pressioni di qualunque mobilitazione di marketing. “A Cesare quel che è di Cesare”, a Greta un po’ di sano pressapochismo. Non è un illecito rivendicare un proprio spazio di autonomia dalla civiltà universalizzata. Vale per tutti i rami dell’albero che i governi sono chiamati a tutelare. Come per l’Europa: tornare troppo indietro può giocare brutti scherzi – è vero che gli Stati nazionali hanno generato dolore nell’umanità – ma certo l’ideale burocrate è quanto di più distante esista dai valori fondanti del Vecchio continente. Il nido dell’aquila è scevro di buone intenzioni.

E gli unici che cogitano ancora sul “che fare” risiedono a destra, nel campo liberal-conservatore e in quello sovranista. A tutti gli altri piace la marea liquida così com’è: economicista, relativista, tecnicistica e liberticida. Anche per questo, le dichiarazioni di Trump all’Onu possono essere ben recepite. Stanno lì a testimoniare come l’intuizione politica, qualunque essa sia, sia ancora idonea a presiedere il terreno pubblico. Non sappiamo per quanto altro tempo avremo modo di pensare al mondo che verrà senza che nessuna venga ad imporcelo, ma in questa donchisciottiana lotta per la supremazia dell’intelletto sulle cose, dell’anima del mondo sull’allarmismo degli ecosistemi in via di sparizione, Trump è un nostro alleato, se non il più importante.