Siria, ci mancava il jihadista buono
09 Dicembre 2024
Il 27 novembre 2024 sarà ricordato come una data spartiacque nella storia del Medio Oriente. In appena dieci giorni, la Siria ha vissuto una trasformazione tanto drammatica quanto inaspettata, culminata con la caduta del regime degli Assad, che per decenni hanno dominato il Paese con un misto di repressione e terrore. Se fino a due settimane fa la guerra civile siriana, iniziata nel 2011, sembrava un conflitto ormai congelato, l’improvvisa offensiva dell’Hayat Tahrir al-Sham (HTS), guidata da Abu Mohammed al-Jolani, ha ribaltato ogni previsione.
Il colpo di scena inizia con l’attacco a sorpresa su Aleppo, la città più popolosa della Siria e, dal 2016, una delle roccaforti del regime. La caduta di Aleppo è avvenuta in pochi giorni, seguita a ruota da Hama e Homs, due altre città strategiche. All’inizio di dicembre, i ribelli erano già alle porte di Damasco. Dopo pochi giorni, Bashar al-Assad era in esilio, insieme alla sua famiglia, protetto dall’ombrello diplomatico di Mosca. Una fulminea sequenza di eventi che richiama l’adagio — spesso attribuito erroneamente a Lenin — secondo cui “ci sono decenni in cui non accade nulla e settimane in cui accadono decenni.”
al-Jolani, il jihadista ‘pragmatico’ che ruppe con Al Qaeda
Centrale in questa trasformazione è stato Abu Mohammed al-Jolani, un personaggio che incarna tutte le contraddizioni e le complessità della guerra civile siriana. Nato intorno al 1982, Jolani cresce come un leader islamista e figura centrale della guerra civile siriana. Originariamente affiliato ad al-Qaida, diventa capo del Fronte al-Nuṣra, il ramo siriano del gruppo terroristico, fondato nel 2012 durante il conflitto. Al-Nuṣra si è distinto per la sua ideologia salafita e per la lotta contro il regime degli Assad. Nel 2016, Jolani annuncia la separazione del Fronte al-Nuṣra da al-Qaida, nel tentativo di guadagnare maggiore supporto locale e internazionale. Successivamente, nel 2017, diventa leader di HTS, una coalizione di gruppi ribelli salafiti, cercando di affermare la organizzazione, considerata un gruppo terroristico, come forza dominante nel nord-ovest della Siria.
Originariamente affiliato ad al-Qaeda e in rotta con il Califfo dello Stato islamico dopo le Primavere arabe, Jolani è riuscito, negli ultimi anni, a reinventarsi come un leader jihadista pragmatico, capace di trasformare HTS in un’organizzazione più ampia e, dicono, sorprendentemente inclusiva. Secondo analisti Usa come Max Boot, la abilità politica di Jolani è emersa non solo sul campo di battaglia, ma soprattutto nella sua capacità di vincere il cuore e la mente di una popolazione stremata da tredici anni di guerra civile.
In Siria vecchie e nuove tensioni
Dal cessate il fuoco del marzo 2020, Jolani ha lavorato per costruire istituzioni locali più forti e per riformare gli apparati governativi e militari di HTS. Ha rassicurato cristiani, curdi, sciiti e altre minoranze che il suo governo non avrebbe rappresentato una minaccia per loro. Vedremo. Aaron Zelin del Washington Institute for Near East Policy ha descritto Jolani come un raro esempio di pragmatismo strategico nel panorama islamista. Il risultato è stato che, quando HTS ha lanciato la sua offensiva, il regime di Assad era poco più di un guscio vuoto, incapace di opporre una resistenza significativa.
Non si è trattato solo di una vittoria militare, ma diplomatica. HTS ha negoziato intensamente con notabili locali, comandanti militari del regime e tribù sunnite, garantendosi la defezione di molti elementi chiave del sistema di Assad. Il risultato è stato un crollo quasi incruento del regime: una rarità nella storia dei conflitti mediorientali. Ma la Siria “liberata” è ben lontana dall’essere un Paese pacificato. Mentre Jolani consolida il suo potere a Damasco, nominando Muhammad Bashir come nuovo primo ministro, sullo sfondo si profilano nuove tensioni.
La Russia al Consiglio di sicurezza ONU: violazioni territoriali di Israele in Siria
Israele ha intensificato i bombardamenti nel sud e nell’ovest del Paese, colpendo arsenali militari e avanzando con i suoi carri armati fino alla periferia di Qunaytra, un simbolo delle Alture del Golan occupate. La Turchia, dal canto suo, ha accelerato le operazioni di “pulizia etnica” contro le comunità curde, ormai isolate e abbandonate dai loro tradizionali alleati internazionali. Gli Stati Uniti, pur formalmente alleati dei curdi, sembrano più che altro interessati a mantenere il controllo dei giacimenti petroliferi nella Siria orientale. Nel frattempo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito d’urgenza, con Mosca — ora rifugio di Assad — a chiedere una risoluzione contro le violazioni territoriali di Israele e Turchia.
Le lezioni del passato sono difficili da ignorare. La caduta di regimi autoritari come quello di Assad spesso lascia un vuoto di potere che viene rapidamente riempito da conflitti tra fazioni. Lo stesso Jolani, nonostante la sua abilità strategica, si trova ora a dover bilanciare una coalizione eterogenea di fondamentalisti islamici, ribelli, minoranze e interessi stranieri. La sua promessa di un governo sarà messa a dura prova, specialmente nei rapporti con i curdi, storicamente diffidenti verso qualsiasi regime centrale a Damasco.
Il paradosso del jihadista buono
Molti osservatori ritengono che HTS mantenga legami con il network jihadista, anche se Jolani ha cercato di riformulare l’immagine del gruppo per ottenere maggiore legittimità politica e sostegno, specialmente dalla Turchia. Durante l’offensiva del 2024 contro il regime siriano, si è diffusa la falsa notizia della sua morte, successivamente smentita con immagini che lo mostravano vivo e acclamato ad Aleppo.
L’ascesa di Jolani rappresenta una straordinaria metamorfosi politica, ma anche un paradosso: un ex jihadista che promette ‘democrazia’. Una speranza difficile per il popolo siriano, ma anche un promemoria delle sfide che attendono una nazione devastata da più di un decennio di guerra. La Siria post-Assad resta in bilico. Gli osservatori internazionali guardano con scetticismo, ma anche con una punta di sotterranea ammirazione, alla rapidità con cui Jolani ha saputo prendere le redini del Paese.
La domanda è se questa rivoluzione porterà una qualche forma di stabilità o se i siriani finiranno per scambiare un tiranno con un altro. La storia, ancora una volta, sembra avere deciso di riscrivere il suo copione all’ultimo minuto.