Gas, imprese preoccupate per il rischio recessione
11 Aprile 2022
Fare impresa in Italia non è mai stato semplice, burocrazia e tasse sono sempre state dei freni non indifferenti. Dopo la pandemia, le imprese si stanno trovando a far fronte alle conseguenze dell’invasione russa in Ucraina. L’inflazione, in particolare l’aumento del prezzo del gas e delle materie prime, sta mettendo seriamente alla prova alcune delle nostre filiere produttive.
Le stime di crescita
Il governo Draghi ha dovuto correggere al ribasso le stime di crescita del PIL per quest’anno. Prima della guerra era previsto un aumento del 4,9%, ora l’aspettativa si è ridotta a 2,9%. L’esecutivo, tuttavia, conta di arrivare fino al 3,1% grazie ai nuovi stimoli che metterà in gioco.
Non deve sfuggire, tuttavia, che le previsioni del governo sono sempre ottimistiche. La banca centrale ha elaborato tre scenari, quindi tre diverse stime della variazione del PIL. Nel caso in cui il conflitto si risolva velocemente il PIL dovrebbe crescere circa del 3% nel 2022 e nel 2023. Se la guerra dovesse proseguire a lungo, la crescita si attesterebbe intorno al 2% entrambi gli anni. Il terzo scenario, il peggiore ipotizzato, contempla che l’interruzione dell’approvvigionamento di gas russo, quindi un PIL in diminuzione circa dello 0,5% tra il 2022 e il 2023.
Gas e materie prime, aumentano i prezzi per le imprese
È complesso immaginare che le imprese non subiscano contraccolpi in una situazione simile, anche perché l’aumento dei prezzi di gas e materie prime è imponente. Basta dare un dato per avere la misura di ciò che sta accadendo, rispetto all’agosto 2021 il prezzo del gas naturale è salito del 420%. Ovviamente, ciò si è tradotto in un irrigidimento dei mercati più energivori, come acciaio, carta e ceramica.
A questo si devono aggiungere i problemi sempre più rilevanti della logistica. Per esempio, va rammentato che dal porto di Mariupol arrivava in Italia il 25-30% di argilla bianca. Anche i lockdown pandemici in Cina, segnatamente a Shangai e Shenzen, sono fattori che hanno favorito l’aumento dei prezzi a causa della conseguente chiusura dei porti, così come l’aumento dei prezzi dei container in Europa.
Questo discorso va inserito in un quadro in cui l’Unione Europea e l’Italia hanno disegnato una politica industriale ed energetica poco lungimirante. L’elevata dipendenza dal gas russo è un problema, che i governi stanno cercando di smorzare grazie a nuovi accordi multilaterali e all’investimento nelle rinnovabili. Il governo Draghi si sta muovendo bene, ma ci vorrà almeno qualche mese prima di vedere degli effetti tangibili e qualche anno per avere un mix energetico efficiente e diverso da quello attuale.
Inoltre, non va dimenticato che il massimalismo ambientalista aveva portato a chiedere alle imprese riconversioni molto rapide delle proprie filiere senza impatti negativi dal punto di vista occupazionale. Se prima del conflitto scatenato da Putin era molto difficile, oggi è praticamente impossibile. La transizione ecologica non può essere scaricata sulle imprese, soprattutto in questo scenario.