
Per un umanesimo industriale e digitale

14 Maggio 2022
Dopo due anni di pandemia e un anno di guerra, è chiaro a tutti che l’Occidente è di fronte a sfide epocali. Cambia l’assetto geopolitico, cambia l’Unione Europea, cambia il clima, cambiano le professioni di cui le imprese hanno bisogno. Mentre tutto cambia, allora, ha senso chiedersi quale sia il ruolo sociale che il sistema produttivo svolge, non solo in termini di valore aggiunto. È vero “fare profitti”, per dirla con Milton Friedman, è indubbiamente un modo con cui le imprese creano valore. Ma possono fare qualcosa di più o, semplicemente, qualcosa di diverso?
Adriano Olivetti e l’umanesimo industriale
Adriano Olivetti è stato uno dei simboli dell’Italia industrializzata che, dopo la guerra, portava crescita, lavoro e benessere a tutto il paese. L’imprenditore di Ivrea è stato anche un precursore dell’umanesimo industriale, proprio perché credeva che gli imprenditori avessero delle responsabilità sociali. Definire “comunità” le imprese, in fondo, non è forzatura come potrebbe sembrare.
Così la fabbrica non era più un mero luogo di produzione da cui trarre il maggior profitto possibile, ma il centro dello sviluppo della società e dell’economia. Era a tutti gli effetti un luogo di socializzazione in cui era doveroso garantire lo sviluppo delle idee e delle persone, coerentemente con la logica costituzionale per la quale l’attività lavorativa il compito di garantire la realizzazione dell’individuo. Investimenti nella ricerca, diritti dei lavoratori, modifiche positive al fordismo e tante altre innovazioni ci permettono di ricordarlo come un uomo con lo sguardo volto al futuro.
“L’avvenire della memoria” di Antonio Calabrò
L’ultimo libro di Antonio Calabrò, “L’avvenire della memoria” (Egea), è un tentativo di riscoprire e attualizzare il concetto di umanesimo industriale. Il presidente di Museimpresa, in realtà, fa una piccola variante sul tema e parla di “umanesimo digitale”, vincolando la transizione tecnologica di cui tanto si parla una transizione umana.
Gli strumenti digitali, l’intelligenza artificiale, l’industria 4.0 e il Web3 hanno un’enorme potenzialità che non presuppone una sostituzione dell’uomo con le macchine. Qualcuno potrebbe sorridere, ma questo residuo marxista aleggia nella mente di ben più cittadini (e politici) di quanti si definiscano comunisti. Ciò che è certo, però, è che il progresso vada compreso e incoraggiato tanto quanto le nuove energie debbano essere il motore di uno sviluppo sostenibile.
Conservare per il progresso
Nei periodi di crisi è forte la tentazione di guardare al passato, non c’è dubbio. Così come non c’è dubbio, tuttavia, che possa essere modo per conservare alcuni valori senza rinunciare al progresso. L’impresa può essere una realtà che innova e si internazionalizza, ma che tutela i propri lavoratori e mantiene un legame con il territorio. Le imprese possono essere comunità aperte che crescono, creano benessere e includono sempre più membri e modi di lavorare.