Acciaio, Pirro (UniBA): “Avanti con Bernabè e Morselli, ex Ilva pilastro dell’industria nazionale”
31 Dicembre 2022
Parliamo ancora di acciaio e dell’ex Ilva con il professor Federico Pirro che insegna Storia dell’Industria all’Università di Bari.
Professore, inizia un nuovo anno. Considerando la congiuntura economica internazionale, come sarà il 2023 per l’acciaio italiano?
Bisogna essere molto cauti nel fare previsioni sull’andamento dell’economia internazionale e in esso della domanda di acciaio, ricordando peraltro che la siderurgia nazionale è la seconda in Europa per capacità dopo quella tedesca, e schiera una produzione da forni elettrici – ma anche dagli altiforni di Taranto – di qualità e competitiva ormai da anni sullo scacchiere europeo. In Italia l’avvio di una serie di grandi lavori per infrastrutture finanziate dal PNRR dovrebbe sostenere la domanda almeno di alcuni prodotti lunghi, mentre per coils e lamiere bisognerà verificare l’andamento dell’industria dell’auto, della meccanica varia e della cantieristica navalmeccanica. Poi naturalmente sull’andamento dei margini aziendali incideranno i costi dell’energia, delle materie prime e del rottame, del danaro e i prezzi di vendita dei prodotti finiti.
Il 2022 si chiude con lo stanziamento del Governo per la ex Ilva. È corretto dire che si cominciano a rispettare gli accordi presi da Invitalia con Mittal due anni fa? Secondo Lei gli impianti di Taranto possono essere ancora un’opportunità di sviluppo industriale del nostro Mezzogiorno?
Sì, è corretto affermarlo, anche se bisognerà poi verificare – come ha saggiamente suggerito il Presidente della Federacciai, Professor Gozzi, in una sua intervista – quali siano gli accordi realmente sottoscritti fra Invitalia e Arcelor circa gli assetti societari e i loro tempi di definizione o ridefinizione, conseguenti alla immissione di risorse pubbliche nella società. Al riguardo, il piano industriale chi lo redigerà? L’attuale azionista di maggioranza – che è Arcelor – o invece Invitalia che potrebbe diventarlo a sua discrezione anche prima della scadenza precedentemente fissata al 2024? Per quanto si legge, comunque, l’iniziativa del Governo è molto forte e ribadisce il ruolo del sito di Taranto che – vorrei ricordarlo ancora una volta – non è solo la più grande acciaieria a ciclo integrale d’Europa per capacità, ma anche la maggiore fabbrica manifatturiera del nostro Paese per numero di addetti diretti, pari a 8.168 unità. E’ doveroso ricordare inoltre che nel 2021 – in base ai dati raccolti nel recente pregevole Rapporto di sostenibilità dello stabilimento ionico pubblicato meritoriamente dall’azienda – la fabbrica ha prodotto un fatturato di 3,3 miliardi rispetto a 1,6 miliardi del 2020. Nell’impianto di Taranto inoltre sono in corso massicci investimenti di ammodernamento delle linee e di ambientalizzazione imposti dall’AIA, per cui si può affermare che quella fabbrica è tuttora uno dei pilastri non solo dell’industria pugliese, ma anche di quella nazionale. Aggiungo peraltro che l’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, non include solo l’impianto di Taranto, ma anche quelli di Genova, Novi Ligure, Racconigi, Legnago e Paderno Dugnano: in totale 8 fra centri di produzione e di servizi.
Lei ha detto che per l’ex Ilva servono manager di esperienza. Quelli attuali hanno riportato l’azienda in utile e avviato il piano di risanamento ambientale con una “riduzione drastica” delle emissioni, secondo Ispra. Logica vorrebbe che continuassero a lavorare, no?
Assolutamente sì. In una mia precedente intervista avevo affermato che non è facile trovare manager che vogliano venire a Taranto, peraltro in un contesto socioambientale delicatissimo come quello cittadino. Preciso il mio pensiero, affermando che non sarebbe facile sostituire manager come quelli che oggi guidano coraggiosamente la holding e il sito, dal Dottor Bernabè alla Ceo Dottoressa Morselli e a tutta la prima linea di comando dello stabilimento che la affianca. E bisogna dire anche che, insieme al top management della fabbrica, anche quadri intermedi, tecnici ed operai sono molto qualificati. Gli altofornisti ionici, ad esempio, sono fra i migliori d’Europa. Sono maestranze stremate, come del resto quelle degli altri siti del Gruppo, da anni di incertezza e di cassa integrazione, così come le aziende dell’indotto: ma, attenzione, non è facile lavorare nella supply chain di uno stabilimento simile, perché occorrono qualifiche particolari e comprovate esperienze. Le migliori imprese dell’indotto locale – cui si affianca quello proveniente da altre regioni – grazie all’esperienza acquisita sugli impianti tarantini, stanno affrontando con successo anche altri mercati, in qualche caso internazionali.
Commissariamenti, sequestri e confische, l’arrivo di una multinazionale e poi di nuovo la volontà di far gestire tutto alla Stato azionista… Negli ultimi dieci anni la vicenda Ilva si è terribilmente stratificata. Se dovesse riassumerla in un titolo quale userebbe?
Non è facile selezionare un titolo che riassuma con efficacia la vicenda ex Ilva, ma si può affermare con certezza che sciogliere i nodi intricatissimi che la caratterizzano sarà un merito ‘epocale’ di tutti coloro che vi riusciranno, lavorando con sapienza giuridica e grandi competenze impiantistiche.
In Italia ad eccezione di Mittal ci sono altri investitori con le competenze necessarie a lavorare nel ciclo primario dell’acciaio?
Sì, certo gli acciaieri italiani, lo dicevo prima, sono fra i più avanzati in Europa grazie anche agli investimenti realizzati negli ultimi anni. Sono tutti imprenditori che impiegano forni elettrici, siderurgia da forno elettrico che – è appena il caso di ricordarlo – ha una grande storia nel nostro Paese, e il cui rappresentante più prestigioso è stato nell’ultimo secolo la famiglia Falck, mentre il loro impianto più noto è stata l’acciaieria di Sesto San Giovanni, ormai dismessa da anni. Sugli altoforni il nucleo operativo di Taranto, di discendenza IRI-Finsider-Italsider è da salvaguardare professionalmente e da valorizzare in ogni modo. Anche Riva prima e poi Arcelor hanno dovuto riconoscere lo standing professionale del tecnici impiegati nell’impianto ionico e il gruppo franco-indiano, dopo averli sostituiti con i suoi all’indomani del suo arrivo, ha dovuto poi richiamarli quasi tutti.
Lei ci crede all’acciaio “verde” e alle teorie di Rifkin?
Sì, e non è un atto di fede ma la constatazione di quanto si sta già realizzando in alcuni Paesi ove sono in corso progettazioni e prime sperimentazioni avanzate di impianti che impiegano o impiegheranno idrogeno. Per quanto è noto sinora, non sono impianti che hanno la stazza degli altiforni di Taranto o dei forni elettrici maggiori, ma le progettazioni sono molto avanzate e le prime applicazioni incoraggianti. Naturalmente bisognerà ridurre i costi di produzione dell’idrogeno verde, ma la Puglia sotto questo profilo, con i suoi primati nella generazione di energie da fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico) in grado di alimentare la produzione su vasta scala di idrogeno verde, può diventare un laboratorio di livello mondiale.
Il governo ha rimesso lo scudo penale per i manager dei siti produttivi strategici. Ritiene esagerato affermare che averlo tolto equivale a considerare gli imprenditori una specie di nemico da abbattere?
Non direi questo, ma certo deve essere riaffermato il principio che la politica industriale non possono farla gli atti e le sentenze giudiziarie che naturalmente devono accertare e perseguire gli eventuali reati commessi nell’esercizio di un sito manifatturiero, verificandovi il rispetto integrale delle norme preposte alla tutela della salute di addetti e di cittadini ed imponendovi anche – se del caso e sempre dopo rigorosi e inoppugnabili accertamenti tecnici – tutti i miglioramenti impiantistici ritenuti necessari per assicurare quella tutela, ma non proponendosi la dismissione coatta di certe fabbriche, in base a volte ad un ‘pregiudizio’ di supposta insanabilità e di irraggiungibile ecosostenibilità di un determinato compendio industriale.