Aprire le porte all’AI, il professor Mazzoleni ci spiega perché

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Aprire le porte all’AI, il professor Mazzoleni ci spiega perché

Aprire le porte all’AI, il professor Mazzoleni ci spiega perché

15 Novembre 2023

Il mondo contemporaneo è sempre più caratterizzato dall’impiego di tecnologie legate all’intelligenza artificiale, così integrate nella quotidianità delle nostre vite da passare inosservate. Gli assistenti virtuali come Siri di Apple si aggiornano sfruttando la potenza dei Large Language Models (LLM), le aziende offrono servizi AI per rispondere automaticamente alle offerte di lavoro, il mondo del cinema e dell’intrattenimento negli Usa si ribella al presunto nuovo dominio della tecnica. Potremmo fare molti altri esempi ma forse vale prima la pena guardare alla storia degli ultimi decenni.

L’espressione “A.I.” nasce in ambito statunitense alla metà del secolo scorso, tra le aspettative iper-ottimistiche dei suoi pionieri, rivelatesi irrealistiche rispetto allo stadio degli sviluppi tecnologici dei tempi. Il successivo declino di interessi e investimenti è stato definito “the AI winter”, appunto, l’inverno dell’intelligenza artificiale. Negli ultimi decenni, infine, grazie ai progressi nelle tecnologie informatiche, all’enorme disponibilità di dati e ai nuovi approcci algoritmici, l’AI è stata protagonista di una sorta di rinascita: ad oggi, com’è noto, vive una fase “esplosiva” di sviluppo e diffusione, in rapidissima evoluzione.

A fronte di una tale pervasività, l’opinione pubblica sembra dividersi tra visioni contrastanti: una tendenzialmente ‘conservatrice’ e l’altra più spiccatamente ‘progressiva’. Se è vero che non bisogna restare vittime del tecno-utopismo va detto però che una serie di diffuse resistenze culturali rischiano di ostacolare l’innovazione. Eppure, le “barriere all’entrata di nuove tecnologie o di approcci che cambiano i paradigmi in modo sostanziale non hanno mai avuto successo,” spiega sul Giornale di Brescia Marco Mazzoleni, Direttore della Smae (Scuola di Management e Formazione Avanzata). Insomma, quella specie di opposizione da bias cognitivo, si potrebbe definirla così, che si respira in giro – un timore del cambiamento per cui si stenta a lasciare la strada conosciuta per l’incertezza dell’ignoto – rischia di non farci fare un passo in avanti. E del resto, si tratta di un atteggiamento frequente, come ci ricorda la storia dello sviluppo tecnologico.

Ma — riflette Mazzoleni — chi coglierà l’enorme potenziale dell’intelligenza artificiale e sarà in grado di muoversi efficacemente in questo contesto, riuscirà anche ad acquisire un vantaggio competitivo, sia al livello individuale che aziendale. In un tempo in cui i processi di innovazione legati alla intelligenza artificiale sono già in atto e diventano parte integrante della nostra vita quotidiana, dunque, occorre interrogarsi sulla reale efficacia di politiche o comportamenti sociali che tendono a limitare questo cambio di paradigma. Certo, l’utilizzo degli algoritmi e delle altre nuove tecnologie informatiche resta tutt’ora imprevedibile, ma costituisce, allo stesso tempo, una risorsa dalle incredibili potenzialità.

Si pensi ai vantaggi per il sistema produttivo, al risparmio di tempo e risorse, all’ottimizzazione della gestione di ingenti quantità di dati e alla risoluzione di problemi complessi, per non dire di settori come l’esplorazione spaziale e in generale la ricerca scientifica. “Se, per un verso, è necessario disciplinare l’utilizzo di queste innovazioni ed avere il coraggio di imporre alcuni limiti o, meglio ancora, definire regole che permettano, in trasparenza, di disciplinarne l’utilizzo degli algoritmi legati all’intelligenza artificiale è altrettanto importante aprire le porte a tutto ciò che la nostra intelligenza umana potrà realizzare attraverso questi algoritmi”, conclude Mazzoleni. Forse, aggiungiamo noi, è arrivato il tempo di un nuovo umanesimo digitale.