
Bodyoid o dei confini della nostra umanità

30 Marzo 2025
Di fronte all’inarrestabile avanzata delle biotecnologie, la tentazione di abbandonarsi all’entusiasmo della scoperta è comprensibile. Le potenzialità sono impressionanti: creare “corpi umani di scorta” privi di coscienza – i cosiddetti bodyoid – da impiegare per test farmacologici, trapianti d’organo, perfino per ridurre la sofferenza animale nella sperimentazione scientifica.
Un sogno di efficienza medica e progresso, che promette di risolvere alcune delle più drammatiche emergenze della sanità contemporanea: carenza di organi, fallimenti nei trial clinici, dipendenza dalla sperimentazione animale. Ma ogni sogno tecnologico, prima o poi, chiede il conto alla coscienza. E a quel punto il liberalismo maturo – quello che crede nel progresso ma non idolatra l’onnipotenza umana – ha il dovere di interrogarsi. Perché il prezzo dell’innovazione, se pagato con una svalutazione dell’umano, rischia di diventare insostenibile.
Il principio che ispira la ricerca sui bodyoid è semplice, e in parte nobile: se possiamo produrre corpi umani completi, ma privi di cervello e quindi di qualsiasi esperienza cosciente, potremo usarli per fini terapeutici senza infliggere sofferenze e senza ledere – apparentemente – alcuna dignità personale. È il vecchio dilemma del fine che giustifica i mezzi, ma in una versione sofisticata, aggiornata all’era dell’ingegneria cellulare.
Tuttavia, anche nel più avanzato dei laboratori, la domanda antica ritorna: cos’è l’uomo? Se un corpo umano cresce al di fuori dell’utero, senza genitori, senza relazioni, senza possibilità di coscienza, rimane comunque qualcosa che ci interpella. È solo materia biologica utile, o è ancora, in qualche modo, nostro simile?
La bioetica moderna ha elaborato criteri giuridici e scientifici per distinguere ciò che è persona da ciò che non lo è. Ma la linea tra l’essere umano e il “quasi umano” – soprattutto se biologicamente identico a noi – è più sottile di quanto vogliamo ammettere. Se bastasse l’assenza della coscienza a togliere valore all’essere umano, dovremmo accettare che chi perde ogni funzione cerebrale perda anche ogni diritto. Ma non lo facciamo. E non dovremmo iniziare a farlo con ciò che ci somiglia più di qualunque altra cosa mai creata in laboratorio.
Non si tratta di rifiutare la scienza. Ma di chiedere alla scienza di non perdere il senso del limite. La medicina moderna è nata dal corpo umano, e si nutre dei suoi misteri. Non può però arrogarsi il diritto di manipolarlo fino a renderlo indistinguibile da un prodotto industriale. D’altra parte, non siamo ciechi alle opportunità. Ridurre la sofferenza animale, salvare vite umane, personalizzare i trattamenti: sono traguardi degni, e chi li insegue non merita disprezzo ideologico.
Ma proprio per la nobiltà degli obiettivi, serve cautela. Serve un quadro etico, giuridico e culturale all’altezza della sfida. Serve, in una parola, prudenza. La storia della scienza è piena di entusiasmi mal riposti. L’annuncio della pecora Dolly, nel 1996, scatenò paure irrazionali, ma anche interrogativi comprensibili. Oggi, con i bodyoid, non possiamo permetterci né isterie né indifferenza. È il momento di pensare, discutere, regolamentare. Prima che siano le tecnologie a decidere per noi. Perché il vero progresso non è ciò che possiamo fare. È ciò che scegliamo di fare, insieme, restando umani.