Elezioni Usa, perché nelle democrazie non ci si annoia mai
25 Ottobre 2024
Le elezioni americane, a una decina di giorni dal voto di novembre, sembrano una grandiosa serie Netflix. Al primo tentativo, i democratici ci hanno riprovato con l’inossidabile Joe Biden, che però, ad ogni discorso pubblico, sembrava essere capitato lì per caso. Del tipo “Oh, giusto, sono il Presidente!”. Così il motto “Yes, we can” si è rapidamente trasformato in “no, he can’t”. Infatti, dopo solo venti giorni dall’avvio della campagna elettorale, con tanto di positività al Covid e l’ennesimo, confuso discorso sulla CNN, “zio Joe” è costretto a fare un passo indietro. Così, a staccare un biglietto di sola andata per la Casa Bianca è la Vice di Biden, Kamala Harris.
A sostenere Kamala l’apparato del partito democratico, la famiglia Obama (più l’attivissimo Barack che la moglie Michelle) e i Clinton, sperando che stavolta non salti fuori qualche altro misterioso server nell’armadio. D’altronde i Simpson, famosi per le loro profezie, hanno predetto una giovane donna alla guida degli Stati Uniti (nell’episodio “Bart to the future”, per gli addicted del genere), come pure si potrebbe citare le ultime stagioni di House of Cards. La Harris ha fin da subito alzato i toni dando del “weird”, strambo, a Donald Trump e ridando speranza ai democratici. Con quel suo modo di fare che è un mix tra una severa professoressa e una commediante (in)consapevole, la Harris è riuscita a mettere in imbarazzo l’ex Presidente Trump, che negli ultimi mesi di campagna ha accusato il colpo, perlomeno nei sondaggi.
E giù, attacchi con quel sorrisino stampato, come a dire “Donald, lo sai che la presidenza non è un reality show, vero? E, no, non puoi licenziare il Congresso”. Con battutine leggere ma affilate, Kamala si è fatta spazio in un oceano in cui lo squalo più grosso resta lui, lo spavaldo Trump. Ma “The Donald” è ormai un’icona pop, capace di vestirsi da McDonald e servire patatine agli elettori, cantare e ballare per mezz’ora, e far risuonare forte messaggi che stanno a cuore ai MAGA: “I sondaggi sono truccati, proprio come l’ultima volta, ma questa volta vinceremo alla grande lo stesso!”. lnsomma, il Don ha continuato la sua campagna incurante degli attacchi, senza mai andare al tappeto del tutto, nonostante almeno un paio di attentati che avrebbero potuto stenderlo davvero.
Con quell’energia da ‘Io sono il migliore, lo dicono tutti!’, che trasforma ogni suo comizio in una sorta di epica agrodolce, Trump ha ripreso vigore nei sondaggi. Ne è la prova il comizio a Butler, Pennsylvania (al momento nel Penn State il Don è in vantaggio sulla Harris), dove Trump ha incitato i suoi sostenitori a una vittoria schiacciante, mentre Elon Musk, saltellando sul palco, cantava le lodi della libertà di espressione in America. Una cosa comunque è certa: ogni volta che apre bocca, il “Teflon Don” scatena nuove ondate di meme sulla Rete, perché in fondo, con Trump, tutto diventa un enorme spettacolo di intrattenimento.
Tornando ai sondaggi, al momento sembra esserci un testa a testa tra i due candidati, con un numero discretamente alto di indipendenti che non hanno ancora deciso per chi votare e considerando che negli USA (ma non solo) c’è un alto numero di cittadini che non si registrano o preferiscono astenersi. Una delle minoranze decisive, sotto la lente di ingrandimento, restano i latino americani che sono circa il 19% della popolazione. Molti di loro con il tempo hanno cambiato orientamento politico, passando dai democratici ai repubblicani. Nel 2020 circa il 60% dei Latinos votò per Biden, ma la percentuale rispetto ai tempi di Obama, in realtà, era già scesa. Una sterzata l’ha data proprio Kamala Harris, con lo slogan “kamala lucha”, kamala lotta. Ma esattamente di quale lotta stiamo parlando?
Di due visioni diametralmente opposte, in una America fortemente polarizzata. Kamala ha un approccio più ‘umanitario’ nei confronti dell’immigrazione, Trump, si sa, adotta da sempre una linea dura sul tema. Per quanto riguarda l’economia, la “Kamalanomics” propone una visione progressista e inclusiva, con un intervento più diretto del governo federale, Trump continua a spingere sul taglio delle tasse e un’economia pro business. Infine, sulle guerre che stanno incendiando il mondo, nessuno dei due candidati mette in discussione la “special relationship” tra USA e Israele, l’alleanza strategico-militare tra i due Paesi, ma Kamala deve vedersela con la sinistra interna capeggiata da AOC che pende per i pro Pal. Con Kamala, gli americani continueranno a fornire armi agli ucraini, mentre non è chiaro cosa accadrebbe tra Usa e Russia con Trump, visto che il Don è sempre stato scettico sulla prosecuzione dello sforzo bellico americano a favore di Kiev e più in generale nei confronti degli interventi militari all’estero (pur avendo ‘incenerito’ il capo delle Guardie rivoluzionarie di Teheran).
Manca poco al voto e gli occhi del mondo sono tutti puntati sugli USA. Continuiamo a goderci il più grande show politico al mondo, con un misto di ansia e pop corn, chiedendoci chi sarà “fired” e chi invece rimarrà sul palco. Una cosa è certa: i capovolgimenti di fronte durante la campagna che abbiamo descritto, il dramma umano dei sondaggisti alle prese con una forchetta sempre più ravvicinata, e i colpi di scena dell’ultima ora, mostrano qual è la vera differenza tra le grandi democrazie e i regimi totalitari: nelle vere democrazie, fino all’ultimo, non sai mai chi vincerà. Nei regimi autoritari, nelle autocrazie e nelle dittature in giro per il mondo, le campagne elettorali non fanno storia, anzi, sono una gran noia.