Gli Usa si distraggono dalla Corea del Nord e la Cina ringrazia di cuore

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Gli Usa si distraggono dalla Corea del Nord e la Cina ringrazia di cuore

22 Settembre 2009

La Corea del Nord prosegue nei suoi periodici alti e bassi diplomatici, nei suoi schizofrenici segnali ravvicinati di apertura e chiusura. Dopo il lancio di missili ed i test nucleari di maggio e aprile scorsi (a cui fece seguito il lancio di altri cinque missili il 4 luglio), l’ONU aveva finalmente condannato con risoluzione unanime ed ufficiale il governo comunista di Pyongyang, la cui risposta non si era però fatta attendere: ritiro dei propri diplomatici dai negoziati a sei (con Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone e Corea del Sud) sul il disarmo nucleare.

Ma negli ultimi due mesi sono arrivati numerosi segnali di disgelo. Tra questi, la liberazione di due giornaliste americane rapite al confine con la Cina, avvenuta dopo una scampagnata a Pyongyang di Bill Clinton, che ha per l’ennesima volta tolto la scena alla moglie. A metà agosto poi, il regime comunista ha operato due mosse a sorpresa, prima inviando i suoi diplomatici del Palazzo di Vetro a Santa Fe, per incontrare il governatore Richardson, poi organizzando una delegazione per presenziare al funerale dell’ex presidente della Corea del Sud, Kim Dae-jung. La visita al governatore del New Mexico era in particolare un modo per trovare interlocutori americani, un segnale della volontà di riprendere il dialogo.

Il problema principale per la ripresa dei colloqui è che la Corea del Nord non vorrebbe tornare al tavolo a sei, ma preferirebbe incontri bilaterali con gli Stati Uniti. Per comprendere questo desiderio del regime dei Kim bisogna pensare anche a come verrebbe “venduto” dalla televisione di regime un eventuale incontro ufficiale tra Stati Uniti e Corea del Nord. Per ora da Washington non sono arrivate risposte: l’amministrazione Obama prende tempo di fronte ad un problema spinoso e non vuole esporsi ai rischi di un accordo bilaterale con un interlocutore inaffidabile.

L’ultimo segnale di disgelo da parte del Nord nei confronti del Sud si è avuto l’11 settembre. Appena oltre il 38° parallelo, nella regione della città di Kaesong, vige un accordo tra i due governi per cui industrie sudcoreane assumono dipendenti nordcoreani, il tutto sotto stretta sorveglianza degli ufficiali del North Korean Special District General Bureau di Pyongyang. A giugno, nel clima di tensione creato dai test militari e dalle risposte diplomatiche dell’ONU, il regime comunista aveva improvvisamente dichiarato nullo il contratto col Sud e richiesto sia una cifra pari a 500 milioni di dollari al governo di Seoul per l’affitto della terra sia un aumento spropositato degli stipendi dei lavoratori nordcoreani, qualcosa come il quadruplo di ciò che viene da loro attualmente recepito. Tale richiesta, se sostenuta fino alle estreme conseguenze, avrebbe portato al ritiro delle industrie sudcoreane da Kaesong e alla fine di questo piccolo esempio di cooperazione economica tra le due Coree. Ma proprio l’11 settembre, con l’ennesima inaspettata virata, la Corea del Nord ha comunicato che si può proseguire sulla strada degli accordi precedenti, che prevedono un aumento annuo degli stipendi del 5%.

Bisogna ricordare che in mezzo a questi segnali di apertura degli ultimi due mesi, è avvenuto però anche un fatto gravissimo, nell’indifferenza generale dei mass media europei. Il 6 settembre scorso, la Corea del Nord ha aperto senza nessun preavviso una delle sue dighe vicino al confine, provocando un’onda anomala violentissima. A valle, sei cittadini sudcoreani sono stati travolti ed hanno perso la vita, mentre enormi danni sono stati arrecati ad abitazioni, imbarcazioni e strumenti da pesca. Non una sola parola di scuse è stata spesa nei giorni seguenti dal regime comunista: non una sola riga di pentimento per aver ucciso sei persone innocenti. L’incidente diplomatico ha rapidamente riportato i rapporti tra i due Paesi da tiepidi a glaciali, anche se il governo conservatore di Seoul ha cercato di minimizzare, pur chiedendo spiegazioni. Spiegazioni che Pyongyang ha laconicamente fornito, indicando come causa dell’apertura repentina della diga un fantomatico livello alto delle acque; ma le rilevazioni meteorologiche della zona in quei giorni registravano precipitazioni di pochissimi millimetri, e la successiva indiscrezione sulla presenza di militari nordcoreani alla diga quel giorno farebbe pensare ad un atto di attacco deliberato, a metà tra la prova generale e la minaccia, considerando il numero elevato di dighe nordcoreane presenti a ridosso del 38° parallelo.

Per tutte queste ragioni, il Presidente della Corea del Sud Lee Myung-bak, un conservatore che ha riportato realismo nella politica di Seoul dopo anni di ingenui sogni di riunificazione e politiche di apertura unilaterale verso la dittatura del Nord, nei giorni scorsi ha definito la recente condotta di Pyongyang confusa e di difficile interpretazione. Secondo Lee “"Recently, North Korea has shown conciliatory gestures on one hand, while at the same time claiming progress in its uranium enrichment program. Such a double-faced attitude indicates a very unstable political situation in the North”. Ed infatti molti analisti sospettano che ai vertici della dittatura comunista si stia preparando un delicato passaggio di consegne, dall’attuale leader Kim Jong Il al figlio ventiseienne Kim Jong Un. Questo porterebbe a contrasti interni e sarebbe la causa delle azioni ultimamente ancora più imprevedibili del solito da parte di Pyongyang.

Le semplificazioni tuttavia vanno evitate. Nonostante il regime stia affrontando un vasto ricambio ai piani alti legato alla successione imminente, il suo potere sulla popolazione, da sempre affamata e tenuta completamente isolata dal resto del mondo, è ancora totale. E’ di due giorni fa la notizia, riportata anche dal Wall Street Journal, della chiusura di alcuni mercati liberi attorno a Pyongyang, che sono stati letteralmente rasi al suolo. E’ probabile che alcuni venditori siano stati deportati nei campi di concentramento. Del resto Kim Jong Il si oppone da sempre alla nascita di un commercio privato all’interno della nazione, obbligando i suoi cittadini a sopravvivere con i soli impieghi statali, o a morire di fame. Evento quest’ultimo che infatti in Corea del Nord si verifica assai spesso.

E’ con questa sfortunata altra metà di sé che la Corea del Sud ha a che fare quotidianamente. E’ da questo tirannico regime che Seoul è costantemente tenuta sotto tiro. E proprio con questo brutto cliente anche Obama avrà prima o poi a che fare, dato che l’immobilismo attuale di Washington è dettato dall’indecisione e non potrà essere una strategia a lungo termine. Anche perché, mentre Obama riflette, la Cina ha già mandato a Pyongyang una delegazione, il cui lavoro probabilmente ha qualcosa a che fare con la notizia di pochissimi giorni fa secondo cui Kim Jong Il avrebbe acconsentito alla ripresa del dialogo multilaterale.