
In Lombardia mancano i professionisti che servono alle imprese

06 Luglio 2022
Secondo i dati di Unioncamere Lombardia, il tasso di disoccupazione regionale è sceso al 5,5%: sotto i livelli pre-Covid. Sembra incredibile a dirsi, eppure le cose potrebbero andare meglio. Le imprese vorrebbero assumere, ma non trovano profili adeguati.
Le imprese vorrebbero assumere, ma non riescono
Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, infatti, sta assumendo delle dimensioni non indifferenti. Le imprese avevano dichiarato la propria disponibilità ad integrare nei propri organici circa 90mila persone, di cui 25mila nell’industria. Addirittura, una figura professionale su due, tuttavia, è considerata di difficile reperimento. Il fenomeno è in continuo peggioramento. Nel 2017, le imprese, infatti, incappavano i tali difficoltà nel 23% dei casi, quota che saliva a 34% nel caso delle figure tecniche. Oggi, invece, la media supera il 40% e la componente delle figure tecniche sale al 56%. Nell’ambito della farmacia e delle specializzazioni in scienze della vita si arriva al 90%.
Il caso della Lombardia è emblematico
Decade così anche la tipica obiezione anti-impresa per cui le imprese non vorrebbero assumere altro personale perché non vogliono pagare stipendi in più. La situazione si è ribaltata, nonostante il salario extra e mille costi che le imprese devono accollarsi, non ci sono lavoratori da assumere. Il caso della Lombardia è emblematico perché è sempre stata la meta di disoccupati che volevano rimboccarsi le maniche e costruirsi una nuova vita. Ora, invece, rallenta le proprie potenzialità perché la formazione delle nuove leve è inadeguata e, allo stesso tempo, l’Italia è un contesto complessivamente poco attrattivo per i giovani europei.
Una formazione inadeguata
Dati come questi, dovrebbero preoccupare il decisore pubblico. I nodi problematici del sistema formativo italiano stanno venendo al pettine. I giovani hanno una formazione inadeguata all’ingresso nel mondo del lavoro, tanto per i tipi di percorsi scelti quanto per l’inesistente integrazione di questi con il tessuto imprenditoriale.
Le lauree STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) sono poco valorizzate, mentre proliferano corsi di laurea, pagati dallo Stato, quasi privi di sbocchi professionali. Il sistema ITS, nonostante la riforma che presto verrà approvata, rimane poco sviluppato rispetto al benchmark tedesco. Parliamo di circa 900mila studenti tedeschi a fronte di circa 9mila italiani, non potrà essere il miliardo e mezzo del Pnrr a centuplicare questo dato. Un discorso a parte, invece, andrebbe fatto per la formazione continua, necessità ormai conclamata dell’attuale mondo del lavoro. La difficoltà di reperimento di operai specializzati, sempre secondo lo studio di Unioncamere, raggiunge il 70%.
Chissà se la politica sarà capace di comprendere che questa è una delle sfide potenzialmente esiziali del nostro tempo. È un tema che non possiamo eludere, al pari della transizione ecologica e digitale. Ne va del futuro del nostro Paese.