La crisi morde il Nord che si risveglia nazionalista

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La crisi morde il Nord che si risveglia nazionalista

La crisi morde il Nord che si risveglia nazionalista

06 Ottobre 2022

Nel Nord il sommarsi delle crisi degli ultimi anni, finanziaria, pandemica, energetica, e quella strutturale, demografica, alla fine hanno risvegliato il sentimento nazionalista. Non che autonomia e decentramento siano stati dimenticati, anzi, potrebbero diventare una spina nel fianco del nuovo governo. Ma intanto il 25 Settembre le regioni del Nord hanno premiato Fratelli d’Italia e punito gli altri partiti, Lega compresa. Con i suoi richiami al patriottismo e alla difesa dell’interesse nazionale, Meloni ha offerto ai ceti produttivi e alle classi popolari del Nord una visione rassicurante, in grado di arginare la paura verso il presente e per il futuro.

Il Nord che cambia e cresce, ma invecchia

Ovviamente non c’è un solo Nord. C’è il Nordovest del vecchio triangolo industriale. Glorioso ma invecchiato. Dove non si fanno più figli come nel resto dell’Europa. Senza nuovi boom economici all’orizzonte. C’è il Nordest col suo peculiare variegato modello produttivo che ancora tiene e tira, dal Veneto fin giù nell’Emilia. Ci sono le singole regioni come la Lombardia che fanno storia a sé, sempre più proiettate verso il centro propulsivo dell’Europa.

Un Nord dove di lavora, si fanno Pil e innovazione. Un Nord dove si fa fatica, il caro bollette è una minaccia mortale, crescono i nuovi poveri. Nel 2020 la povertà in termini assoluti è aumentata più al Nord che al Sud. Gli strumenti di sostegno al reddito, scrive Avvenire, non possono più essere solo appannaggio delle regioni meridionali. Anche in questo senso bisognerà ripensare il reddito di cittadinanza. Nelle regioni settentrionali cresce anche il numero dei lavoratori che non hanno più le garanzie di una volta, il 18 per cento secondo Istat. Così, preso nel suo insieme, il Settentrione cerca uno Stato forte che sia in grado di proteggerlo.

Il nazionalismo di Giorgia Meloni di fronte alla crisi

“La promessa di Meloni di far prevalere gli interessi nazionali rispetto a quelli comunitari, qualsiasi cosa voglia dire concretamente rispetto al passato, può sembrare rassicurante,” scrive la professoressa Saraceno su La Stampa. “Sia agli imprenditori strozzati dalle bollette energetiche. Sia ai loro dipendenti esposti non più solo ai rischi di delocalizzazioni più o meno selvagge, di riconversioni industriali, di uno sviluppo tecnologico che, se non accompagnato, li rende obsoleti e/o rindondati, ma anche a quelli delle chiusure, o riduzioni di orario, a causa della crisi energetica”.

Il nuovo nazionalismo, allora. Con la stretta sull’immigrazione. La volontà di rimodulare il PNRR per andare incontro alle imprese e alle famiglie. L’idea che le legislazioni nazionali possano prevalere sul diritto comunitario (in Polonia non ha funzionato però). Il Nord ha creduto a queste promesse elettorali. Ha scelto. E adesso? Prendiamo l’immigrazione. Finché le politiche sulla famiglia e la maternità non saranno messe davvero al centro dell’azione di governo, invertendo il calo demografico, il Nord continuerà ad avere bisogno di quote, manodopera e lavoratori immigrati. Su questo c’è poco da baloccare.

Investimenti e immigrazione

Gli investimenti per favorire la integrazione di chi viene a vivere nel nostro Paese, però, a cominciare dalla scuola, scarseggiano. Le seconde generazioni di immigrati si sentono marginali. L’insicurezza tra i cittadini per gli effetti deleteri dell’immigrazione clandestina non è cambiata. Meloni ha pescato in questo disagio, reale, concreto, ma ancora una volta l’impressione è che dietro la sfiducia verso la ‘società aperta’ vi sia una paura più profonda che non riguarda tanto e solo gli immigrati ma il declino economico, il timore di perdere il benessere accumulato in tanti anni di duro lavoro.

La questione settentrionale e la Nato

Come dire, la svolta conservatrice ha le sue parole d’ordine ma adesso andrà gestita con accortezza, consapevolezza, andando al fondo della ‘Questione settentrionale’. Perché i trattati europei possiamo ridiscuterli, certo, ma non stracciarli. Le risorse del Recovery possiamo rimodularle ma non usarle come tappabuchi. E la nostra collocazione a livello internazionale deve restare quella occidentale, pro-NATO e con gli Usa, che conosciamo. Gli ultimi tweet di Giorgia Meloni sembrano andare in questa direzione. Quello di ieri su Europa, gas e von der Leyen avrebbe potuto scriverlo Carlo Calenda, ironizza qualcuno sui social.

L’Italia che deve tornare grande

Un nazionalismo temperato dalla realtà, dunque. Meglio di certo europeismo di facciata, dell’Europa debole e divisa che non ha saputo dare risposte nuove alle crisi cicliche della globalizzazione e al mutato scenario geopolitico. Torniamo grandi, allora. Lo diceva pure Donald Trump per gli Stati Uniti d’America. Torniamo grandi ma non basta dirlo, ora bisogna farlo. Il Nord operoso, produttivo, spaventato ma non disperato – il Nord che chiede stabilità, decisionismo, certezza delle norme – ha svoltato a destra e aspetta un segnale. Perché il buonsenso ci dice che non sarà sufficiente invocare il patriottismo per creare più lavoro, ricchezza e sviluppo economico.