
Liberation Day, Trump rilancia sui dazi

03 Aprile 2025
Donald Trump ha annunciato una nuova ondata di dazi di ampia portata contro quasi tutti i partner commerciali degli Stati Uniti: una tassa del 34% sulle importazioni dalla Cina, del 20% sull’Unione Europea e misure analoghe verso numerosi Paesi con surplus significativi nei confronti di Washington. Oltre a ciò, ha introdotto un’imposta di base del 10% su tutte le importazioni, indipendentemente dalla provenienza.
Nel Rose Garden della Casa Bianca, il presidente ha dichiarato lo stato di emergenza economica nazionale per giustificare le misure, che intende attuare senza il via libera del Congresso, appellandosi all’International Emergency Economic Powers Act del 1977. Secondo Trump, l’obiettivo è “rilanciare la produzione nazionale” e “porre fine a cinquant’anni di truffe ai danni dei contribuenti americani”.
Nel suo intervento, ha definito il sistema commerciale globale — che gli Stati Uniti stessi hanno contribuito a costruire nel secondo dopoguerra — come una macchina che avrebbe “saccheggiato, depredato, violentato e razziato” l’economia americana. Tra le misure annunciate, anche la revoca dell’esenzione sui dazi per le importazioni dalla Cina sotto gli 800 dollari, con l’intenzione di estendere il provvedimento ad altri Paesi appena la macchina federale sarà in grado di gestirlo.
Il piano prevede l’entrata in vigore dei dazi base del 10% il 5 aprile e l’applicazione dei dazi maggiorati (20–34%) dal 9 aprile. Alcuni prodotti già colpiti da precedenti misure — come automobili, farmaci, acciaio e alluminio — resteranno temporaneamente esclusi, ma sono destinati a rientrare in future tornate. A rischio anche categorie come rame, legname, microchip e medicinali.
Il ritorno del protezionismo
L’annuncio segna una svolta epocale nella politica commerciale americana. Per alcuni osservatori è l’inizio di una nuova era, all’insegna del protezionismo strategico: una sorta di “liberazione” dai vincoli della globalizzazione postbellica. L’idea di fondo è che gli Stati Uniti tornino a finanziare la propria potenza industriale attraverso i dazi, come accadeva nei primi decenni del XX secolo.
Altri — soprattutto economisti e analisti finanziari — mettono in guardia: i dazi sono un veleno a rilascio lento, capace di danneggiare gli scambi, gonfiare i prezzi e minare la fiducia reciproca tra Paesi. Secondo le previsioni, l’impatto sarà immediato: i prezzi di beni essenziali come abitazioni, automobili e abbigliamento potrebbero salire rapidamente, con effetti pesanti per la classe media. I futures di Wall Street sono crollati subito dopo l’annuncio, per timore di un rallentamento economico.
Le reazioni: sanzioni incrociate e crepe interne
La Cina ha risposto definendo le nuove tariffe “una strategia senza sbocchi”. Il premier canadese Mark Carney ha avvertito che “cambieranno radicalmente il sistema commerciale internazionale” e ha annunciato contromisure. Anche l’Unione Europea sta valutando dazi su 28 miliardi di dollari di prodotti americani, tra cui il bourbon, al che Trump ha replicato minacciando un dazio del 200% sugli alcolici europei.
Sul fronte interno non mancano i malumori. Alcuni senatori repubblicani — soprattutto provenienti da Stati agricoli — esprimono perplessità. Il presidente della Camera, Mike Johnson, ha ammesso: “Potrebbe essere un inizio turbolento. Ma potrebbe funzionare”. Sul versante democratico, la deputata Suzan DelBene ha attaccato duramente: “È una gigantesca imposta sulle famiglie americane, introdotta senza alcun voto del Congresso. Trump aveva promesso di abbassare i prezzi fin dal primo giorno. Ora dice che non gli importa se aumentano: ha tradito la sua promessa”.
Nel frattempo, le imprese cominciano a scaricare i costi sui consumatori. Jay Foreman, CEO di Basic Fun (produttrice di Tonka e Care Bears), ha annunciato che il celebre camion giocattolo Tonka passerà da 29,99 a 39,99 dollari, forse anche 45. “Non abbiamo alternative”, ha dichiarato.
Sanzioni a Putin?
A più di un mese dalla umiliazione impartita in diretta globale al presidente dell’Ucraina, Zelensky, Trump non ha ottenuto grandi risultati diplomatici con la Russia. Mentre Zelensky ha accettato un cessate il fuoco proposto dagli Stati Uniti, Putin continua a rifiutare ogni accordo, avanza pretese territoriali e ridicolizza gli sforzi diplomatici americani. Cinquanta senatori — incluso il repubblicano Lindsey Graham — hanno firmato un appello per sanzioni severe contro Mosca. Il presidente imboccherà questa strada?
Un déjà-vu storico
Secondo gli analisti, le nuove tariffe porteranno la media dei dazi americani ai livelli più alti dal 1945. Alcune misure — se attuate integralmente — riporteranno addirittura ai tempi della Smoot-Hawley Tariff Act del 1930, che scatenò una guerra commerciale globale e aggravò la Grande Depressione.
All’epoca, il mondo era meno interconnesso. Oggi, invece, il commercio internazionale è il cuore pulsante delle catene produttive globali. Ogni barriera genera effetti conseguenti: interruzioni nelle forniture, aumento dei costi, distorsioni nei tassi di cambio e fuga dei capitali. Se la Federal Reserve dovesse rispondere con un rialzo dei tassi per contenere l’inflazione, l’apprezzamento del dollaro vanificherebbe ogni ipotetico vantaggio per l’export.
Oltre l’economia: la posta geopolitica
Il libero scambio ha garantito decenni di prosperità e stabilità al blocco occidentale. Le istituzioni multilaterali — WTO, GATT, Bretton Woods — non sono solo architetture economiche, ma baluardi contro i ritorni di fiamma nazionalistici.
L’errore di oggi è confondere la forza con la chiusura, l’interesse nazionale con l’isolamento strategico. I dazi non ricuciono le fratture sociali: ne creano di nuove, alimentando incertezza e sfiducia. Come ha ricordato Larry Fink, CEO di BlackRock, il dollaro si regge sulla fiducia. Se trasformi l’America in un club a inviti con dress code anti-import, il conto arriva. E non sarà leggero.
Trump promette una nuova età dell’oro industriale. Ma rischia di innescare un cortocircuito tra economia, diplomazia e coesione interna. La sfida non è solo economica: è geopolitica, culturale, sistemica. Il nuovo capitolo è aperto. Tocca ai partner occidentali decidere se seguirlo nel protezionismo o ricostruire un nuovo patto liberale globale. Prima che sia troppo tardi.