Opinioni, perché la tassa sulle banche colpisce due volte le BCC

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Opinioni, perché la tassa sulle banche colpisce due volte le BCC

Opinioni, perché la tassa sulle banche colpisce due volte le BCC

16 Agosto 2023

Non si può non dare un commento ed una lettura critica ad un provvedimento che lascia alquanto perplessi e pone una grande preoccupazione, non tanto per gli effetti che la tassa una tantum sulle avrà sui conti bancari e sui corsi azionari delle banche quotate (aspetto che non sarà comunque irrilevante) ma quanto per la palese superficialità sui “fondamentali” che questo provvedimento evidenzia e sui messaggi che ci trasmette. Ordino le mie considerazioni per punti cercando di essere il più chiaro possibile.

Gli ingiusti profitti. Il Presidente del Consiglio Meloni ha parlato nella sua dichiarazione a mezzo social (anche qui ci sarebbe qualcosa da dire ma andrei fuori tema) degli ingiusti profitti bancari. Certamente le banche stanno facendo, in questi ultimi mesi, profitti molto consistenti, ma ciò che ci si chiede è: sono ingiusti rispetto a cosa? Qual è la soglia del profitto giusto? Una tale soglia può essere determinata dal governo con un decreto legge? Ciò non vale solo per le banche ma per qualsiasi settore economico; sono infatti tante le imprese (di svariati settori) che stanno facendo profitti molto elevati e quindi il precedente, soprattutto nei confronti dell’opinione pubblica meno informata, è rilevante. A mio avviso la domanda corretta è se gli elevati profitti sono fatti nel rispetto delle regole del mercato e di un corretto funzionamento dello stesso. Nel caso dell’energia, per il quale il governo ha pure inserito una tassazione sugli extra profitti, siamo di fronte ad un mercato (il TTF di Amsterdam) la cui trasparenza ed i meccanismi di funzionamento qualche dubbio lo hanno manifestato. In questi casi ci si aspetterebbe interventi da parte degli enti preposti al buon funzionamento dei mercati, quali l’antitrust, di cui da tempo purtroppo pare si siano perse le tracce, almeno sui grandi temi. Forse un governo dovrebbe occuparsi anche degli aspetti strutturali del sistema economico e non solo di interventi spot transitori dal sapore propagandistico.

I profitti bancari sono tutti uguali? L’imposta straordinaria introdotta dal Governo, come noto, colpisce il cosiddetto margine d’interesse, cioè la differenza tra tassi attivi e passivi che, nei bilanci bancari ha una precisa voce (la voce n. 30). Da questo conteggio sono escluse perciò le commissioni, i dividendi ed i proventi finanziari. Quindi questa imposta penalizza le banche che svolgono principalmente attività di concessione del credito, quelle che sostengono maggiormente il sistema economico delle imprese e delle famiglie. Le banche che invece svolgono consistente attività extra creditizia di tipo finanziario (tipicamente le grandi banche) sono meno colpite perché, proporzionalmente, l’attività creditizia è meno rilevante nel loro conto economico. Le più colpite perciò sono le banche di minori dimensioni, quelle locali e territoriali, quelle che sono più vicine ai propri clienti – famiglie e imprese soprattutto PMI – ai quali erogano finanziamenti a breve termine ed a lungo termine che, ricordiamo, è l’attività principale e caratteristica di una banca. Questa è la funzione delle banche: raccogliere il risparmio ed impiegarlo in finanziamenti a sostegno dello sviluppo economico e sociale di una comunità. Con questa imposta il Governo penalizza quindi le banche maggiormente impegnate oggi, a fianco di famiglie e PMI, in questa difficile congiuntura economica.

Come si misurano gli extra profitti? Come abbiamo visto questa nuova e transitoria imposta è calcolata su un risultato di bilancio intermedio, il primo risultato intermedio del Conto economico che equivale, per un’impresa produttiva, alla differenza tra i ricavi ed i consumi delle materie prime. Rimangono perciò esclusi da questo conteggio ricavi di natura diversa ma soprattutto tutti i costi di gestione che caratterizzano l’attività e l’azione di una banca sul mercato. Così come è strutturata, questa imposta non colpisce quindi il profitto bancario nel suo complesso ma solo una parte della sua attività, quella caratteristica di concessione del credito, che invece andrebbe sostenuta. Non dovremo perciò meravigliarci se, nei prossimi mesi, alcune banche ridurranno ulteriormente la concessione di credito a famiglie ed imprese a favore di attività finanziarie diverse.

Le banche sono tutte uguali? Ad integrazione del punto precedente si deve ricordare che il mondo bancario è, fortunatamente, al suo interno ancora variegato. Vi sono infatti le Banche di Credito Cooperativo (225 banche che coprono l’intero territorio nazionale con 1,4 milioni di soci, 36.000 dipendenti, 4.100 sportelli e 140 miliardi di impieghi pari al 7,9% del mercato) che per la loro natura cooperativistica e mutualistica hanno vincoli nella distribuzione degli utili e che negli ultimi anni si sono fortemente impegnate in una ristrutturazione e modernizzazione mantenendo saldi i principi fondanti cooperativistici e di attenzione al territorio di competenza. Ora, la tassa sugli extra profitti colpisce le BCC due volte in più rispetto alle altre banche: la prima è con il conteggio dell’extra profitto sul margine di intermediazione perché riduce le risorse a disposizione delle attività mutualistiche e cooperative che trovano la loro collocazione nel Conto Economico tra i costi sotto il margine di intermediazione e che caratterizzano le banche di credito cooperative rispetto ad una banca ordinaria; la seconda perché, per i limiti alla distribuzione dei dividendi, il maggior onere della nuova tassa non pesa sugli azionisti (attraverso minori dividendi) ma sulla patrimonializzazione delle BCC, attività in cui le banche di credito cooperativo sono molto impegnate in questi anni, anche sotto lo stimolo della BCE. Il Governo italiano con questa imposta si è completamente dimenticato di una parte rilevante del sistema bancario italiano, quello delle BCC che, tra l’altro, in loro totale autonomia, hanno recentemente introdotto dei tetti alla crescita dei tassi variabili sui mutui prima casa, rispondendo quindi ad uno degli obiettivi della tassazione straordinaria in questione introdotta dal Governo. D’altra parte, l’idea di omologazione del sistema bancario sui modelli delle grandi banche internazionali, senza considerare la specificità del sistema economico italiano fatto da piccole e micro imprese, è un’altra malattia da cui non si riesce a guarire.

La certezza delle regole. Uno dei principi di fondo di uno Stato democratico e serio è la certezza delle regole e delle norme. Ciò a cui abbiamo dovuto assistere invece è stato l’esatto opposto. Un annuncio in conferenza stampa, nemmeno del ministro competente, di una norma che in meno di 24 ore è stata modificata nelle percentuali di riferimento da applicare sui differenziali di marginalità rispetto al 2021 e sul tetto massimo dell’imposta (che è passato da un assurdo 25% sul Patrimonio Netto, che avrebbe fatto saltare i principali indici di solidità delle banche, allo 0,1% dell’attivo). Per capirci, per una media BCC il costo è passato da oltre 10 milioni di euro a 3 milioni di euro. L’esperienza e le dichiarazioni di questi giorni ci fanno, tra l’altro, intendere che non sono escluse ulteriori modifiche nel corso dell’iter di approvazione. Questo comportamento superficiale del governo su un tema così delicato ed importante quale il sistema creditizio, sfocia nell’arroganza quando non ci si preoccupa degli effetti del proprio comportamento a breve termine, ad esempio sulle borse, ed a più lungo termine sulla credibilità del Paese, non solo agli occhi internazionali ma anche dei propri cittadini.

Il riferimento al 2021 per il calcolo dell’extra profitto. Prendendo come riferimento per il conteggio degli extra profitti il 2021, si dà per scontato che quell’anno debba essere considerato un anno normale. Sappiamo tutti però (ad eccezione, pare, del Governo) che il 2021 è stato l’ultimo di una serie, non breve, di anni anomali con tassi di interesse sotto lo zero. I tassi di interesse vicini allo zero (e per certi periodi addirittura negativi) hanno compresso il margine di intermediazione delle banche accelerando e favorendo un percorso di differenziazione dell’attività bancarie a favore di servizi diversi dal credito (finanziari, di investimento e assicurativi per fare qualche esempio). Quindi il messaggio profondamente sbagliato che passa tassando in questo modo gli extra profitti è duplice. Primo: il costo del denaro deve essere prossimo allo zero. Nulla di più falso. Il costo del denaro non può essere zero poiché è la giusta remunerazione del rischio di credito (non a caso il costo del debito italiano è elevato). Secondo: le banche dovranno accelerare sul percorso di diversificazione rispetto alla concessione del credito. Ciò non è negativo in sé, ma lo diventa quando le banche abdicano alla loro funzioni di erogazione del credito a favore di attività finanziarie più remunerative, il cui profilo di rischio è, la maggior parte delle volte, superiore a quello per la concessione del credito ordinario. Questo è quello che sta accadendo negli ultimi anni: si persegue un modello di banca che poco si adatta alla polverizzazione delle attività economiche italiane, si impoveriscono le strutture bancarie in grado di valutare i rischi demandando questa attività agli algoritmi ed il risultato è che un’ampia fetta dell’economia italiana corre il rischio di essere privata del diritto al credito. La norma sugli extra profitti è diseducativa e va nel senso di disincentivare le banche a fare il lavoro che è loro proprio e cioè fare credito valutando bene il rischio ed agevolando, in tal modo, lo sviluppo economico e sociale del Paese.

Gli obiettivi della tassazione degli extra profitti bancari. Da quello che si sa ad oggi gli obiettivi di questa imposta straordinaria dovrebbero essere politiche a favore delle famiglie per i muti sulla prima casa e una generica riduzione dell’imposizione fiscale. In merito al secondo obiettivo, la riduzione dell’imposizione fiscale, vale quello da più parti già evidenziato: come sia possibile finanziare una strutturale riduzione delle imposte con una tassa straordinaria e temporanea. Sul primo obiettivo segnalo invece che si sarebbe potuto ottenere un risultato immediato facendo un’operazione simile a quella già fatta in passato in occasione della crisi del 2008, quando con l’ABI si stabilirono modalità di moratorie e riscadenziamenti dei mutui delle imprese. Oggi lo si sarebbe potuto fare per i mutui prima casa, penso anche in tempi rapidi, certamente con effetti prima del 30 giugno 2024, data prevista per il pagamento da parte delle banche della nuova imposta. Si sarebbe anche potuto sollecitare comportamenti analoghi a quelli adottati in autonomia dalle BCC per contenere la crescita dei tassi variabili sui mutui prima casa cui si è fatto cenno in precedenza. Per fare interventi di questo tipo (di fatto di moral suasion) serve però credibilità, serietà e autorevolezza elementi che con il caldo di agosto sono rimasti probabilmente al Papeete.