Perché il Venezuela di Chavez (e Oliver Stone) è sempre più povero
19 Settembre 2009
di redazione
Hugo Chavez piace molto all’americano Oliver Stone, lo stesso che un tempo inneggiava ai nordvietnamiti responsabili di carneficine e boat-people, e che ovviamente in seguito s’innamorò di Castro. Il regista in conferenza stampa a Venezia ha etichettato il dittatorello venezuelano come «Un eroe del Sudamerica», e sul suo governo si è così espresso: «Ho analizzato i dati della crescita economica che non lasciano dubbi sulla salute dell’economia venezuelana». Naturalmente chiunque si renda nemico degli Usa riscuote subito la piena adesione delle Sinistre occidentali, tanto di più se gauche caviar, e allora via agli scrosci d’applausi dell’intellighenzia radical-chic pronta a incensare Oliver Stone, Michael Moore, e compagni.
Ma, al di là della propaganda politica di Chavez e dell’opportunismo pubblicitario di Stone – il quale stranamente s’è sempre ben guardato dall’andare a vivere a Caracas, ad Hanoi, o all’Avana, preferendo la sua villa nella tanto vituperata e americanissima Los Angeles –, ciò che conta sono i fatti, e questi cosa ci dicono sulla reale situazione politica del geniale economista Chavez, erede di Simon Bolivar?
Il 2009 Index of Economic Freedom – istituto di ricerca del Wall Street Journal e dell’Heritage Foundation – retrocede il Venezuela di altri 3.8 punti rispetto al 2008 nella lista delle economie a libero mercato, portandolo al 174° posto nel mondo, e al 28° fra le 30 nazioni del Sud e Centroamerica, Caraibi compresi. Praticamente una dittatura socialista. Il governo del presidente Chavez, infatti, secondo i canoni del più vetero statalismo totalitario di Sinistra, sta aumentando sempre più le nazionalizzazioni, specie nel più importante settore economico venezuelano, l’industria petrolifera, mentre le poche attività commerciali ancora libere sono rese inefficienti dalla sempre maggiore pletora di vincoli da cui sono subissate. Le norme legislative appaiono gravose e inadatte, tutte tese a espropriare qualsiasi industria si dimostri lucrativa, anche straniera. L’inflazione è pressoché fuori controllo, e ci sono calmieri statali sui prezzi di quasi tutte le merci e i servizi.
La corruzione – prosegue il rapporto dell’istituto – pervade l’intera società civile e giudiziaria venezuelana, mentre i contratti e i diritti di proprietà non sono tutelati. Ciò produce la fuga di qualsiasi investitore nazionale o estero. La conclusione che ne trae Terry Miller, Direttore del Center for International Trade and Economics, parlando del Venezuela, è che «l’edizione del 2009 dell’Index of Economic Freedom offre buoni motivi per credere che i paesi che si sforzano d’avere le economie più libere sono i più capaci di favorire la prosperità di tutti i loro cittadini. La correlazione positiva tra libertà economica e reddito nazionale è stata confermata ancora una volta dai dati di quest’anno. I paesi più liberi hanno un reddito pro capite oltre dieci volte superiore a quanto avviene nei paesi classificati come “repressi”», e il Venezuela ne è la prova al negativo.
Totalmente incapace di gestire l’economia di un paese che sarebbe invidiabile per le sue ricchezze e che invece sta diventando sempre più povero, Chavez è però assai attivo nello spendere miliardi nella sua campagna internazionale contro gli Usa, Israele e il capitalismo occidentale, inneggiando al suo mentore Fidel Castro. Esperto di manipolazioni elettorali e cinico nell’uso delle Forze Militari e di Polizia per i suoi scopi, l’idolo di Oliver Stone continua a comprare armamenti dalla Russia e a stipulare trattati d’amicizia con l’Iran e altri stati-canaglia.
Qualche informazione sullo stato di salute del progetto economico di Chavez, da lui definito «Socialismo del XXI secolo»: l’inflazione era al 17,2% nel 2005, al 22,5% nel 2007, al 30,9% nel 2008, e ora nel 2009 è arrivata al 35%. Il Pil Procapite nel 2007 era 8,4, nel 2008 è sceso rovinosamente a 3,5, e nell’anno in corso è passato al negativo -3,0 (dati del Fondo Monetario Internazionale). Per intraprendere un’attività commerciale nel resto del mondo la media è di 38 giorni, in Venezuela 141. Tutto il mercato dell’import-export è congestionato da protezionismi e restrizioni, barriere doganali e tasse, discriminazioni e inefficienze. Il paese ha una tassazione fra le più alte al mondo. La burocrazia è farraginosa, corrotta e non-trasparente, così come gli interventi governativi sull’industria, sulle banche, sui mercati. Il governo controlla le istituzioni finanziarie e i maggiori investimenti commerciali.
Nel 2008, oltre alle nazionalizzazioni, agli espropri, e agli assalti ai diritti di proprietà, il governo ha completato l’opera di controllo del sistema giudiziario attualmente gestito de facto dall’esecutivo. I contratti commerciali con contraenti non graditi al regime vengono annullati e il governo stabilisce chi siano gli investitori autorizzati a intraprendere attività nel paese. Non esistono diritti d’autore né per le opere d’arte (musica, film), né per le opere d’ingegno (informatica, brevetti). Con una serie di decreti incostituzionali è stata formalmente creata dal presidente una milizia popolare per controllare i settori dell’economia, dell’agricoltura e del turismo. Fra 179 paesi considerati in base al minor livello di corruzione, il Venezuela è al 162° posto: tangenti di funzionari civili e militari ammorbano l’intera vita della nazione, complici il narcotraffico e il florido mercato delle armi. Le normative del lavoro dipendente sono talmente restrittive da disincentivare qualsiasi assunzione, così da creare una disoccupazione stagnante. La libertà di stampa e d’espressione non esiste. I sindacati sono ridotti al silenzio. Oltre a ciò, i maggiori problemi denunciati dalla popolazione riguardano la sicurezza, i trasporti, la sanità, i servizi (lavori pubblici, raccolta rifiuti), l’approvvigionamento di alimentari di base.
Chi vagheggia di successi formidabili raggiunti dalla politica economica venezuelana porta a esempio la crescita del Pil: negli anni scorsi, infatti, gli incrementi del Pil sono stati circa il 9% nel 2006, l’8% nel 2007 e quasi il 6% nel 2008. Ma di ciò è responsabile soltanto l’aumento del prezzo del petrolio – passato da 11 $ a 147 $ al barile –, il cui reddito copre circa il 50% dei redditi del bilancio federale. Tuttavia, l’inflazione ha continuato a crescere, insieme col debito estero cresciuto da 30 a 44 miliardi di dollari, l’investimento diretto estero è di appena 600 milioni di dollari (contro gli 8 miliardi della Colombia e i 15 del Cile), e la spesa del governo centrale durante il decennio di presidenza di Chavez è passata dal 22 al 32% del Pil nazionale. Quando la crisi mondiale si aggraverà e si prolungherà, il crollo dei prezzi del petrolio, motore della crescita economica che il paese ha conosciuto negli ultimi cinque anni, avrà sicuramente un profondo impatto dal 2010 sulle entrate fiscali e sulle spese pubbliche. Il Paese è anche ricco di risorse agricole che però non vengono sfruttate, imponendo una dipendenza stimata al 30% delle importazioni di prodotti agro-alimentari, rispetto alla totale autosufficienza registrata fino a pochi anni fa.
La giornalista venezuelana Maria Luz FdC si chiede: «Come spiegare al popolo venezuelano che il sogno, o meglio l’incubo, di Hugo Chavez ha digerito senza lasciare traccia la maggior entrata di denaro, oltre 220.000 milioni di dollari, senza aver terminato neppure un progetto, un’opera significativa?… Sicuramente Hugo Chavez lascerà nella storia del Venezuela il ricordo dei centinaia di autobus pagati per muovere le masse quando la sua presenza e le sue promesse hanno oramai perduto ogni forza e credibilità. Ricorderemo per molto tempo le ferite aperte, i morti, i feriti, i torturati e detenuti. Sicuramente molti anni dovranno passare per stendere un velo pietoso sul tragico comportamento delle Forze dell’Ordine utilizzate come bastone di castigo, e della magistratura docile, obbediente a un regime che solo ha parole di elogio a chi dall’alto dei ponti di Caracas massacrò il vero spirito della libertà».
Mentre, come sottolinea Moisés Naím, direttore della rivista Foreign Policy, «La popolazione, nonostante il paese disponga di enormi entrate provenienti dal petrolio, si trova a fronteggiare un tasso d’inflazione tra i più alti al mondo, la mancanza di generi di prima necessità, un livello di criminalità tragico e senza precedenti e grandi difficoltà nel trovare un posto di lavoro al di fuori degli impieghi statali», Chavez continua a giocare con le armi: la Russia ha concordato di prestare al Venezuela 2,2 miliardi di dollari per finanziare l’acquisto di armi, compresi carri armati e sistemi anti-missile avanzati.
Grande amico e alleato del sanguinario regime iraniano, Chavez “commercia” anche coi terroristi di Hezbollah, come svelato da Michael A. Ledeen della Foundation for Defense of Democracies sul suo blog "Faster Please!": «Voli segreti da Teheran a Damasco, destinazione finale Caracas, atterrano in aree speciali dell’aeroporto, e ne sbarcano uomini che non passano per il check delle autorità dell’immigrazione, vengono forniti di passaporti venezuelani, e scaricano container extra dogana. Sono ufficiali di Hezbollah, incaricati di percorrere la regione attraversandone anche i confini per reclutare terroristi e instaurare basi paramilitari. Chavez ha così fornito il gruppo terroristico colombiano Farc di missili svedesi anti-carro, utilizzando poi questi gruppi per il trasporto di cocaina verso l’Africa, quindi l’Europa e gli Usa (fonti: Dea)».
In conclusione, per Moisés Naím «Gli ammiratori di Chávez all’estero farebbero bene a ricordarsi che molte delle idee economiche che il presidente sta testando in Venezuela e sta esportando nelle nazioni vicine hanno un lungo pedigree, ampiamente documentato negli annali delle cattive idee». Nel frattempo, il peruviano Mario Vargas Llosa assieme a un gruppo di scrittori latinoamericani, ha denunciato come «il socialismo del XXI secolo attuato dal presidente Hugo Chávez sia una “minaccia” che s’incammina verso una “dittatura comunista”, attraverso l’osteggiamento contro le autorità locali dell’opposizione, cui sono state sottratte delle mansioni dopo la loro elezione».
Il regista Stone è libero d’incensare chi vuole, ma forse le Sinistre europee potrebbero pure trovare qualche eroe migliore di cui fare l’apologia.