Perché in Iran il regime non riesce a fermare le proteste

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Perché in Iran il regime non riesce a fermare le proteste

Perché in Iran il regime non riesce a fermare le proteste

17 Novembre 2022

In Iran le proteste dopo la morte della ventiduenne Mahsa Amini vanno avanti ormai da due mesi. Il regime degli ayatollah non riesce a fermare la nuova ondata di ribellione che attraversa il Paese. La protesta degli iraniani ha assunto infatti diversi volti. Ci sono i giovani e le donne che si sono ribellati, come accadde anni fa dopo il brutale omicidio di Neda.

Il regime non ha detto la verità sulla morte di Mahsa Amini che sarebbe morta in carcere per un infarto, dopo che la Polizia della morale la aveva arrestata perché non indossava il velo in maniera appropriata. Il regime ha rifiutato le richieste della famiglia di Mahsa di avere un referto di medici indipendenti sulla morte della ragazza. Da quel momento, la ribellione è scoppiata ed è iniziata la repressione. Oltre 300 persone sarebbero già morte durante gli scontri.

Il parlamento iraniano ha dato via libera alla pena di morte contro i manifestanti. Ma la situazione si è complicata. Alla protesta per la morte della giovane Amini si è unita infatti quella dei ceti produttivi, commercianti e mercanti colpiti dal carovita. Dalle sanzioni internazionali e da una gestione della economia che sta mandando a rotoli il Paese. Non solo.

Le notizie degli ultimi giorni sugli attacchi alle milizie basij, uno dei principali strumenti repressivi del regimi, e dei seminari dati dalle fiamme, indicano un altro pericolo per il regime. Cioè la recrudescenza di un estremismo religioso che in alcune aree dell’Iran potrebbe confinare con il fondamentalismo dello Stato islamico. A tutto questo bisogna aggiungere che la tradizionale capacità della diplomazia iraniana di farsi benvolere, in Europa o alle Nazioni Unite, questa volta pare stia venendo meno. Gli Stati Uniti due settimane fa hanno chiesto che l’Iran venga rimosso dalla Commissione sulla eguaglianza di genere alle Nazioni Unite.

Insomma l’Iran vive una situazione di stallo e insieme di violenza interna. Da una parte la protesta, anzi, “le” proteste che non si fermano. Quando calano le tenebre si può dire che il regime non ha più il controllo su tutto il Paese. Dall’altra, la repressione garantita dal fatto che le strutture della forza, a cominciare da esercito e polizia, restano fedeli al regime.

Donald Rumsfeld ripeteva spesso una frase: “Le persone la mattina vogliono alzarsi e fare quello che gli pare. Vogliono vivere la propria vita. Quando la mattina si alzano, non vogliono che altri dicano loro cosa devono fare”. Dovremmo riflettere sul senso di questa frase. Mahsa Amini in Iran è morta per questo motivo. Non tanto e non solo perché probabilmente si era stufata di dover indossare il velo. Ma perché voleva essere una persona libera.

La differenza tra il regime fascista islamico dei mullah iraniani e le democrazie occidentali è tutta qui. Nelle democrazie non c’è la polizia della morale. Non ti dicono come devi vestirti, come ti puoi comportare, cosa devi e non devi fare. Non è chiaro come andrà a finire questa nuova ondata di proteste in Iran dopo la morte di Amini. Nel Novembre nero, anni fa, i morti furono cinque volte tanto rispetto a oggi.

Ma se guardiamo alle diverse anime della protesta, alla incapacità del regime di stroncarla nonostante ormai gli ayatollah ordinano di sparare sulla folla in metropolitana, è chiara una cosa. La libertà non puoi tenerla rinchiusa per troppo tempo. Quando il vaso di pandora si apre, il caos può travolgere anche uno dei regimi più repressivi al mondo. Non potranno fermare a lungo gli iraniani che la mattina vogliono alzarsi ed essere liberi.