
Quella guerra tutta “colpa della Nato”, ma la Nato dov’è?

19 Aprile 2022
La Russia sembra pronta a una seconda fase della invasione dell’Ucraina, dopo il magro bottino ottenuto con l’offensiva di marzo. Gli analisti continuano a sperare in una soluzione negoziale del conflitto, posto che l’esercito russo spezzi definitivamente la resistenza ucraina a Mariupol per chiudere il cerchio sul Donbas e permettere a Putin di rivendicare in patria una vittoria di Pirro. Obiettivo minimo se pensiamo che l’invasione era iniziata con il blitz delle forze speciali russe all’aeroporto di Kiev per rovesciare Zelensky, il primo di una lunga serie di fallimenti, fino all’incrociatore Moskva affondato qualche giorno fa. La guerra dunque continuerà, perlomeno fino a quando Putin non sarà costretto a rendere conto al suo popolo del numero dei caduti russi, che secondo i suoi avversari in un mese e mezzo è già pari alle perdite accumulate in dieci anni di guerre cecene.
Quello che a sentire altri osservatori potrebbe persuadere Putin a mettere fine alla guerra è stata la miccia del conflitto stesso, cioè la Nato. Se Putin ricevesse una promessa formale da Zelensky sul fatto che l’Ucraina non farà domanda per l’adesione alla Nato il regime russo si fermerebbe? La risposta appare paradossale. La Nato infatti al momento sembra essere sparita dalla propaganda russa ma anche dalla comunicazione politica di Zelensky. L’impressione è che il Patto atlantico continui a tormentare solo le anime belle di chi, nei Paesi europei, ha sempre guardato alla Alleanza con gli occhiali antiamericani, senza avere nessuna gratitudine, figuriamoci memoria storica, su come era finita la Seconda Guerra mondiale e chi, realmente, aveva salvato l’Europa dal nazifascismo.
La Nato rappresenta tutto questo ma le opinioni pubbliche occidentali, le nuove generazioni e buona parte dei popoli europei l’hanno rimosso o fingono di farlo. In realtà, Zelensky, che è ebreo, ha detto che il suo modello di nuovo stato sovrano è Israele. Una potenza autosufficiente, da sempre allergica a sistemi di alleanze troppo complicati, tanto indipendente quanto lo è nel coltivare la sua forza. Il motivo per cui Zelensky guarda al modello dello Stato ebraico, è presto detto.
Nonostante le astratte paure dei pacifisti, dei sovranisti convertiti al papismo e dei professorini in favore di telecamera ostili alla Alleanza Atlantica, la Nato negli ultimi anni ha perso una vera capacità di deterrenza. Spesso ha fornito un alibi a chi nei Paesi occidentali chiedeva il disarmo unilaterale. E tutto questo è avvenuto nonostante il regime russo abbia annesso al di là di qualsiasi rispetto del diritto internazionale la Abkhazia, l’Ossezia meridionale e la Crimea, prima di invadere la Ucraina. La lunga fase del disimpegno economico europeo nel rispettare i vincoli di spesa per la difesa comune tra gli Alleati ha portato a eserciti a ranghi ridotti, molto addestramento cerimoniale e meno capacità di reazione rapida, come del resto si è compreso drammaticamente in Afghanistan e Iraq.
Dopo la occupazione russa della Crimea, solo due Paesi europei hanno agito concretamente per prepararsi al peggio, cioè al revanscismo imperialistico di Mosca che punta a riguadagnare parte della vecchia sfera di influenza sovietica, fottendosene altamente di ammazzare bambini e giustiziare civili sulla via della ritirata preventiva. Questi due Paesi che hanno capito i rischi che corriamo sono la Finlandia e la Svezia. Due nazioni che hanno scelto di rafforzare le proprie forze armate, la Svezia addirittura con la decisione di reintrodurre la coscrizione per ricostruire un forte esercito nazionale. Nonostante il clamore degli ultimi giorni dopo le dichiarazioni delle due leader del blocco del Nord sulla virata dei rispettivi Paesi verso il cappello atlantico, al momento Svezia e Finlandia non fanno parte della Nato.
La Polonia, che è nell’Alleanza, ha un esercito di 60.000 uomini su 37 milioni di abitanti. La Finlandia, che ha un esercito di 280.000 uomini in mobilitazione semi permanente, ha un sesto della popolazione polacca. Per troppo tempo i Paesi europei, compresi quelli più a stretto contatto con la minaccia di Putin, come la Polonia, hanno rinunciato ad avere eserciti nazionali e un serio piano di investimenti militari e nella difesa comune, anche solo lontanamente commisurati alla necessità di difendersi dalle minacce esterne. Tutto questo nella convinzione che quella garanzia di sicurezza la avrebbe offerta la Nato, per sempre e a costo zero o quasi. Ma un assetto militare non vive d’aria, va coltivato come ogni cosa umana con dedizione, innovazione e passione. Se diventa un peso, se diventa burocrazia, immagine, culto, finisce come il decantato esercito russo con un cimitero di vecchi carri armati distrutti sulla via di Kiev.
Da questo punto di vista, non c’è da stupirsi se Zelensky abbia rinunciato all’adesione alla Nato così facilmente. Il grande problema che oggi gli Alleati si trovano ad affrontare è ripensare il ruolo del Patto atlantico, proprio nel pieno di una nuova guerra civile europea e mentre mancano strumenti di reazione alternativa come l’esercito europeo. Così per il momento in Ucraina resteremo in una fase di stallo. Putin non può perdere la faccia davanti alla sua opinione pubblica rinunciando alle regioni separatiste di Donetsk e Luhansk. Zelensky non ha, da solo, l’autorità per cedere parti del territorio ucraino anche se lo volesse. La Nato non interverrà direttamente se a chiderlo non sarà uno dei Paesi membri sotto attacco, osservando senza reagire, in attesa di comprendere quale sarà il proprio ruolo nella Europa e nel mondo futuro. Ma il mondo corre.