Quella luce primaverile di un torrido febbraio a New York
18 Febbraio 2023
Aeroporto, volo, dogana. È la seconda volta in pochi mesi che sorvolo l’Atlantico. Sono sopra la città, e i palazzi tagliano il cielo come lance di pietra. Il paesaggio è spropositato. Le auto, le persone, gli edifici; anche i topi sono più rotondi e più grossi. Proliferano. New York è affamata, vorace, insaziabile.
A ogni angolo si sporgono caffè, ristoranti, grattacieli. La terra si erge, conosce altezze non sperimentate. È un monumentale inno alla vertigine. Cammino con gli occhi all’insù, inciampo nei marciapiedi, calpesto tombini fumanti, sotto pare ci siano le caldaie dell’inferno, la terra brucia e si innalza. Sfugge al calore del sottosuolo. Se vuoi sopravvivere devi crescere velocemente. E per crescere devi divorare. Non è importante se sia cibo, mattoni, legno o cemento.
Le torri prediligono vetro e acciaio. Intorno tutto brilla e si muove. Esseri animati e inanimati. Lungo la strada mi sfiorano cinesi, coreani, giapponesi, tailandesi, orientali di ogni tipo, tanto che sembra che l’Asia si sia allungata fin qui. Ebrei, ebrei ortodossi, mulatti, mulatte, neri, travestiti. Combinazioni mai viste di seni, glutei, capelli e nasi. Fisicità inarrivabili.
Il posto da cui provengo mi appare come una lenta tv in bianco e nero precipitata in un pozzo di colori. Ciò che ero abituato a vivere come distinto e separato, qui si mischia, si contamina e cambia forma. Anche le case evolvono. Sono alberi dalle pareti cangianti, hanno fianchi giganti che nascono quadrati e finiscono cilindrici. Il mutamento appare la legge predominante. Ho il naso all’insù. Mi vien voglia di salire come mi fossi svegliato alpinista.
E allora salgo, mi arrampico insieme a un ascensore di vetro che pare cristallo. Fuori la luce primaverile di un torrido febbraio inonda New York.