Quell’esame di coscienza che serve al liberalismo italiano

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Quell’esame di coscienza che serve al liberalismo italiano

Quell’esame di coscienza che serve al liberalismo italiano

09 Gennaio 2024

In un’intervista con Federica Fantozzi sull’HuffPo, lo storico Gaetano Quagliariello non boccia preventivamente l’idea della targa commemorativa per Antonio Gramsci proposta dal ministro della cultura Gennaro Sangiuliano. Piuttosto, si interroga sulla ‘attualità’ di operazioni culturali del genere, ovvero sulla loro effettiva rilevanza culturale, al di là del “lodevole” intento commemorativo. Che valore hanno ritorni di fiamma del genere in un momento storico in cui la riflessione sul potere più che sul passato dovrebbe riguardare il presente e il futuro?

Se l’operazione fosse “davvero il preludio ad allargare con Gramsci il pantheon della cultura di destra, sottolineando nel suo pensiero l’importanza dell’elemento nazional-popolare e di precursore della via italiana al socialismo,” allora “dal mio punto di vista di liberale e cristiano la considero un’operazione di retroguardia”, spiega Quagliariello. Ma perché la destra non vuol ‘lasciare in pace’ i maestri del pensiero di sinistra? “Gramsci fa parte del grandissimo cambiamento culturale che si verifica negli anni Venti, dopo la Prima guerra mondiale, e che attraversa tutte le principali culture politiche,” ricorda il presidente di FMC.

Erano gli anni della rivista L’Ordine Nuovo, della Rivoluzione Liberale di Piero Gobetti, dell’Unità di Gaetano Salvemini. Gli anni della nascita del Partito Popolare, della scissione di Livorno e dell’inizio della storia del Pci. “In questo contesto Gramsci ha un ruolo soprattutto nel nascente partito comunista ed è di opposizione allo stalinismo. Agli albori della società di massa pensava a un controllo sociale dal basso. Come in un quadro di Boccioni: le case che entrano nelle piazze, il privato che si fa pubblico e si mobilita. E difatti, Gramsci fu accusato di deviazionismo trozkista: la ‘normalità’ era quella di Stalin, il dato rilevante fu che la contrastava”.

Ancora “dal crogiolo di quegli anni emersero comunismo e fascismo, i grandi interpreti della ‘guerra civile europea’ al punto che una certa comunicazione tra queste due culture è già stata sottolineata. Non è una novità assoluta. Eugenio Curiel arrivò al comunismo proprio attraverso la categoria dell’egemonia dal basso sviluppata nelle organizzazioni giovanili fasciste”. Sul percorso dal fascismo al comunismo Quagliarello cita molti libri autobiografici: “Il lungo viaggio attraverso il fascismo” di Ruggero Zangrandi, “Il voltagabbana” di Davide Lajolo, “La coda di paglia” di Guido Piovene… “e se ne potrebbero citare un’infinità di altri”.

Ma in realtà, torna a ripetere Quagliariello, “più urgente” sarebbe “una riflessione culturale sul potere al tempo della rete e dell’intelligenza artificiale. Su questo terreno Gramsci serve a poco. Oggi il tema non è più quello del controllo ma delle garanzie delle libertà personali. Ci sono processi che non consentono più controlli orizzontali – casamatta dopo casamatta, per citare sempre Gramsci – perché hanno innescato dinamiche verticali che spazzano via ogni possibilità di controllo dal basso. Non sono problemi che si risolvono inseguendo l’egemonia gramsciana che, nel contesto odierno, rischia di essere soltanto occupazione dei luoghi del potere. Si tratta di elaborare una nuova organizzazione culturale, diversa nei suoi fondamenti”.

Insomma, ‘l’operazione Gramsci’, ovvero riportare il pensatore comunista nel pantheon culturale della destra rischia di essere una scelta di retroguardia. Se mai dovremmo auspicare un esame sullo stato di salute e il senso del liberalismo in Italia, come risposta critica alla sfida della modernità. “Sarebbe più utile, urgente e attuale un punto critico sullo sviluppo del liberalismo nel nostro Paese, piuttosto che la rivalutazione di alcuni tratti della cultura comunista”.

“Avanzo non una provocazione ma un consiglio: nel 2025 cadrà l’anniversario dei due manifesti contrapposti più importanti della nostra storia politica. Quello sul fascismo di Giovanni Gentile e quello in risposta di intellettuali tra cui Benedetto Croce, due tra i più eminenti pensatori italiani. Un lavoro tempestivo e approfondito su questa pagina rappresenterebbe l’esame di coscienza del liberalismo italiano stabilendo torti, ragioni, insufficienze e motivi della sua sconfitta nello scenario politico italiano”. Partire dal “confronto tra Croce e Gentile, che è molto sfaccettato: teorico, politico, sull’idea di libertà. Sarebbe una grande opera di ripensamento storico”.

Quagliariello, infine, mette in guardia dalla reintroduzione di categorie che riporterebbero ad una sorta di guerra civile culturale strisciante e sottolinea l’importanza di una crescita culturale più meditata, suggerendo che una rilettura di figure come Pier Paolo Pasolini potrebbe essere più significativa per la destra. “Una rilettura del comunista Pier Paolo Pasolini da parte della destra ha assai più senso e ragione, perché quell’autore parla ai problemi del post umano con il quale tutte le persone consapevoli si debbono confrontare. Non c’è, dunque, un tema di casacche ma un invito a uscire dalla propria zona di conforto facendo crescere la cultura del Paese”.