
Riformare il Reddito di cittadinanza partendo dai risultati. E non dalle chiacchiere…

25 Novembre 2022
Il fallimento del Reddito di Cittadinanza sul versante delle politiche attive del lavoro è un dato di fatto comprovato. E’ assai curioso che siano gli stessi promotori, a partire da Giuseppe Conte e Pasquale Tridico, che le hanno utilizzate come pretesto per mettere in campo un provvedimento altrettanto fallimentare per contrastare la povertà, ad utilizzare gli esiti occupazionali negativi per giustificare la necessità di prorogare i sussidi ad oltranza per i beneficiari in grado di lavorare.
Le proposte inserite nella legge di Bilancio sul merito delle politiche attive del lavoro del Reddito, a partire dall’obbligo di accettare la prima offerta congrua di lavoro e dalla possibilità di integrare con i sussidi con quote di salario, riprendono una parte di quelle avanzate dalla Commissione Saraceno. Ma è sono solo un primo passo, certamente migliorabile, per mettere mano ad una riforma dello strumento finalizzato a contrastare la povertà che mobilita risorse ingenti ma produce risultati inadeguati per lo scopo di ridurre i livelli di povertà assoluta.
Sono i criteri di selezione dei beneficiari, di calcolo degli importi e la debolezza del sistema dei controlli a indirizzare in maniera distorta le risorse a danno delle famiglie più esposte ai rischi di impoverimento. Pochi giorni fa l’Istat ha documentato che l’introduzione dell’assegno unico per i figli a carico ha contribuito a ridurre i rischi di impoverimento in modo più efficace rispetto al Rdc. Le polemiche tra i presunti avvocati dei poveri e i persecutori risultano fuorvianti rispetto all’esigenza di misurare l’efficacia delle misure sui risultati ottenuti.
L’impatto delle proposte di riforma del Rdc contenute nella legge di Bilancio è oggetto dell’approfondimento pubblicato in data odierna sul Sussidiario.net