Salario minimo: senza riforme non esiste equità sociale
16 Giugno 2022
In Italia il dibattito sul salario minimo circumnaviga ancora attorno alla nuova direttiva europea. L’obiettivo dell’intervento Ue è quello di garantire ai lavoratori meno qualificati e con bassa retribuzione un salario dignitoso, commisurato all’importo non inferiore al 60% del salario mediano di ogni Paese aderente all’Ue.
Nel nostro Paese il dibattito si è acceso in particolare attorno all’approfondimento giornalistico di fine maggio della Stampa, relativo alla variazione dei salari nei paesi Ocse. L’articolo, pubblicato dal quotidiano torinese e corredato da un grafico a barre, evidenziava la differenza percentuale tra i livelli del 1990 e il 2020, rivelando come l’Italia sia l’unico dei paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo ad aver registrato una contrazione dei salari.
Ma l’origine della questione salariale italiana è ben più complessa di polemiche semplicistiche che puntano il dito contro le imprese. Bassi livelli di crescita dell’economia e della produttività, aumento del cuneo fiscale e contributivo sui salari lordi e incremento incontrollato dei contratti di lavoro a tempo ridotto sono tutti elementi che hanno contribuito a portarci dove ci troviamo.
In uno scenario in cui mancano dal dibattito pubblico i temi legati alle necessarie riforme strutturali, il rischio è quello di aprire, sul tema del salario minimo, nuovamente la porta a scelte populiste. Una possibilità che rischierebbe di generare conseguenze devastanti per la sostenibilità e il contenimento della spesa pubblica sul medio periodo.
“Le cause dell’arretratezza di molti comparti dei servizi sono riconducibili a numerosi fattori – spiega Natale Forlani in un intervento sul Sussidiario – : le mancate riforme del welfare che hanno penalizzato la crescita della sanità, dell’istruzione, dell’assistenza, dei servizi di conciliazione lavoro famiglia e delle politiche attive del lavoro; la scarsa qualità del ricambio imprenditoriale; i ritardi nella digitalizzazione delle prestazioni. Riformare il welfare, diffondere servizi con elevata componente digitale, qualificare le risorse umane, rivalutare i mestieri e retribuiti in modo adeguato, sono le vie privilegiate per offrire risposte di lungo respiro”.
Non esiste una strada diversa da quella di ridurre il peso delle prestazioni assistenziali promuovendo al contempo la riqualificazione di tutte le persone in grado di lavorare. Una proposta che potrebbe favorire anche la soluzione alla questione della patologica carenza di manodopera disponibile, in particolare nei servizi.
Non solo. Nessuna risposta concreta sulla questione salariale può risultare efficace se il contesto complessivo non viene rigenerato da interventi strutturali. Una profonda riforma del welfare che esca dalle logiche dell’eterna emergenza e promuova la dignità del lavoro e dell’autorealizzazione. La reale qualificazione delle risorse umane, insieme con la digitalizzazione dei servizi, il rafforzamento del collegamento tra ricerca e impresa e la rivalutazione dei mestieri, che vanno retribuiti in modo adeguato, sono le soluzioni che, sul lungo periodo, consentiranno di uscire da uno scenario troppo condizionato da distorsioni economiche e sociali.