Sostenibilità negli USA, transizione dolce o sarà guerra culturale

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Sostenibilità negli USA, transizione dolce o sarà guerra culturale

Sostenibilità negli USA, transizione dolce o sarà guerra culturale

01 Agosto 2023

Torniamo a parlare di sostenibilità. Sono trascorsi quasi vent’anni da quando l’acronimo ESG, ambiente società e governance, venne utilizzato per la prima volta in un rapporto delle Nazioni Unite. Da allora Wall Street è diventata sempre più consapevole sulla natura dello sviluppo sostenibile. Le aziende americane hanno compreso di poter avere un impatto positivo sull’ambiente e la società attraverso le loro attività economiche senza dover rinunciare a fare profitti.

Le grandi società finanziarie e i fondi di investimento che detengono migliaia di miliardi di dollari hanno preso a pubblicare regolarmente dettagliati rapporti sulle loro policy per contrastare il cambiamento climatico. Vogliono rispettare le pari opportunità. Favorire il welfare aziendale. Tutelare la diversità sui luoghi di lavoro. Il mondo del business certifica ormai con regolarità nei suoi bilanci il ruolo svolto dalle aziende nella sfera pubblica per contribuire a risolvere i grandi problemi della società globale.

Gli Stati Uniti hanno percorso una lunga strada negli investimenti sulle energie rinnovabili mentre i cambiamenti climatici venivano considerati sempre più un fattore di diseguaglianza sociale. Le royalties che le industrie dei settori produttivi più inquinanti hanno dovuto pagare allo Stato federale sono aumentate e la SEC sorveglia le emissioni inquinanti delle aziende quotate.

Contraddizioni e sostenibilità

Questo cambio di paradigma ha aperto una serie di interrogativi sugli utili ottenuti dalle aziende che applicano i criteri ESG. Sulla maggiore o minore competitività di una impresa sostenibile. Non mancano le contraddizioni. Pur producendo auto elettriche, lo scorso anno Tesla è stata esclusa da un’importante classifica delle aziende con i migliori punteggi ESG mentre nella stessa lista apparivano noti produttori di petrolio.

Una decisione che ha provocato la furiosa reazione del miliardario americano Elon Musk. Il patron di Tesla ritiene che i “social justice warriors”, gli attivisti climatici radicali, strumentalizzino la filosofia ESG per imporre la loro agenda antagonista ostile al libero mercato.

Pur considerando gli obiettivi della decarbonizzazione oramai imprescindibili per il sistema economico preso nel suo complesso, l’affondo di Musk contro l’ESG mostra che in America si sta combattendo una “guerra culturale tossica” tra politica e imprese, come scrive l’Economist. Una battaglia tra gli alfieri del “capitalismo risvegliato” che hanno abbracciato entusiasticamente la rivoluzione verde, i realisti convinti che il mondo non è destinato a finire ma che lo sviluppo sostenibile sarà il frutto di una transizione dolce, e infine gli scettici schierati dalla parte del sistema economico e produttivo tradizionale che si sente minacciato.

La battaglia al Congresso sugli ESG

Lo scorso luglio, il Partito repubblicano al Congresso ha provato a limitare le norme che favoriscono i grandi fondi pensione a loro volta impegnati nel privilegiare gli investimenti sulle aziende sostenibili. Lo Stato del Texas ha assunto una posizione ostile verso la filosofia ESG. Pezzi dell’industria energetica americana sostenuti da think tank influenti, legislatori e funzionari pubblici, hanno polemizzato con le banche d’affari accusate di voler ridurre il credito alle imprese che non rispettano i nuovi criteri di sostenibilità.

Qualcuno ha detto esagerando che lo stile di vita americano è in pericolo e che molte aziende americane falliranno spingendo i licenziamenti a livelli record. Sono minacce tutto sommato comprensibili se si considera che arrivano da quella parte del sistema produttivo americano più lontana dall’innovazione ambientale e sociale. Un mondo produttivo che rivendica il proprio ruolo di contribuente difendendo i suoi interessi economici e finanziari.

Negli USA l’inasprirsi dello scontro politico-culturale e i tentativi dei governi di orientare il comportamento delle aziende sulla base di questa o quella visione sta già avendo ripercussioni dannose sul business. Vanguard, una delle più grandi società di investimento, si è già ritirata dalla Net Zero Asset Managers, un’iniziativa che spinge le aziende a impegnarsi nella lotta contro il cambiamento climatico.

Verso una transizione dolce e pragmatica

Gli amministratori delle aziende si trovano oggi a dover bilanciare le pressioni dei governi, degli azionisti e dei dipendenti. Il management americano però non può perdere di vista il centro della questione e cioè che il cambiamento climatico insieme all’immobilismo sociale restano dei rischi finanziari per gli investitori. In questo senso, il valore prodotto a lungo termine per gli azionisti deve continuare ad essere il faro delle aziende responsabili. Solo partendo da questo presupposto le aziende possono cercare di influenzare i governi con una visione pragmatica basata sulla ‘sostenibilità sostenibile’, l’efficienza e l’apertura economica.

La transizione alla sostenibilità negli Usa dovrebbe continuare ad essere un obiettivo praticabile più che l’oggetto di una guerra culturale. Un obiettivo guidato cioè da una logica imprenditoriale, fatta di tempi certi, piani industriali di ampia portata, sburocratizzazione, pragmatismo alternativo sia ai negazionismi sia al radicalismo ambientalista che vuol riportarci indietro di qualche secolo per ‘salvare’ il pianeta.

Le istituzioni internazionali a cominciare dalle Nazioni Unite hanno segnato la strada verso uno sviluppo più moderno. Sbarrarla ora che siamo a metà del guado avrebbe un impatto negativo sull’economia.

(PH Daniel Oberhaus)