Sta agli Europei costruire nuove relazioni transatlantiche

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Sta agli Europei costruire nuove relazioni transatlantiche

Sta agli Europei costruire nuove relazioni transatlantiche

23 Agosto 2025

Nonostante la frenesia diplomatica delle ultime due settimane – dal gelo dell’Alaska al cerimoniale ovattato di Washington – la realtà sul terreno in Ucraina resta cristallizzata. Nessuno spiraglio di tregua, le bombe russe continuano a cadere e il nodo dello “scambio di territori” si stringe come un cappio: Putin vuole che Kiev rinunci al Donbas, resti neutrale e tenga le truppe occidentali fuori dal Paese. In sostanza, Mosca ha buttato la palla in tribuna, confidando nello spirito di appeasement che in questi anni ha attecchito tanto nell’America trumpiana quanto in settori dell’opinione pubblica europea.

Eppure, il viaggio dei leader europei negli Stati Uniti ha segnato una svolta: un’Europa meno subordinata all’alleato americano, tanto che il ministro Lavrov ha denunciato i “goffi tentativi” di condizionare Trump. La posta in gioco è alta. Le “garanzie di sicurezza” chieste dagli europei per l’Ucraina aprono partite delicate. Da una parte, la proposta italiana: un meccanismo simile all’articolo 5 della NATO, come impegno vincolante per difendere Kiev. Fino ad ora, però, quella clausola si è sempre retta sull’hard power americano.

Per renderla credibile, l’Europa dovrebbe liberarsi dalla camicia di forza dell’unanimità e trovare un modus operandi più agile e pragmatico. Dall’altra, la spinta franco-britannica verso un’architettura di sicurezza “autonoma” da Washington, che appare più nebulosa. Peacekeeping o peace enforcement? Osservatori che scrivono rapporti all’ONU o truppe pronte a reagire militarmente alle future eventuali violazioni dei russi? Non è un sofisma, si tratta di scelte politiche cruciali.

Le politiche di Difesa comune, di per sé, sono già una fase costituente. Permettono di ripensare l’Europa. Ma serve anche una nuova fase nelle relazioni transatlantiche. Bisogna uscire dagli schemi del passato per rinnovare il legame con l’America, conservandone la parte migliore – i valori di libertà e democrazia – ma traducendoli in scelte concrete e responsabilità condivise. Per farlo non sono sufficienti la routine dei vertici tra i Volenterosi, le dichiarazioni dei leader o le procedure burocratiche per gli addetti ai lavori. Perché a contare, alla fine, è la capacità di conquistare i cuori. Le nuove relazioni transatlantiche devono fondarsi su narrazioni e immagini forti. Una potrebbe essere l’ipotesi di incontro tra Putin e Zelensky.

Per lo “Zar”, dopo l’Alaska, rifiutarlo significherebbe irritare la Casa Bianca. Accettarlo, vorrebbe dire legittimare Zelensky come interlocutore politico dopo averlo definito un burattino degli europei. Per il Cremlino sarebbe comunque un segno di debolezza. Gli europei, insieme a Kiev, possono esercitare pressioni per spingere Trump – il presidente cerca credito politico anche inseguendo il Nobel – affinché quella scena si materializzi, magari alla prossima Assemblea delle Nazioni Unite di settembre. E se il conclave dovesse saltare, sarà necessario sopportarne il peso: inasprendo le sanzioni secondarie contro Stati e aziende che commerciano con la Russia, privandola realmente delle sue entrate petrolifere e utilizzando gli asset russi congelati per sostenere l’Ucraina.

Gli americani hanno già mostrato i muscoli minacciando l’India. E Putin ha capito l’antifona, volando in Alaska. L’Europa può – e deve – fare di più. Per convincere gli ucraini, i giovani georgiani, i nostri alleati Baltici che la Rivoluzione di Maidan non è stata vana. Per ricordare all’Occidente che difendere Kiev significa salvare se stesso.