Un nuovo spirito di Maastricht

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Un nuovo spirito di Maastricht

Un nuovo spirito di Maastricht

Il 1° novembre del 1993 entrava in vigore il Trattato di Maastricht, che ha inaugurato la storia istituzionale dell’Unione Europea per come la conosciamo oggi: questa settimana, l’accordo ha compiuto trent’anni. Il Trattato ha rappresentato un passo significativo verso una configurazione geopolitica europea fondata sui valori dell’integrazione e della cooperazione, ma non ha mancato di sollevare questioni e dibattiti quanto mai attuali. Gli ultimi anni, infatti, hanno visto crescere sentimenti di scetticismo verso la UE, accusata di costituire un grave ostacolo all’esercizio della sovranità nazionale.

Ma il concetto di sovranità nazionale non deve essere confuso con quello di indipendenza: in un mondo interconnesso e globalizzato, a esclusione delle grandi economie, nessuno Stato nazionale può essere indipendente e sovrano al tempo stesso. Per questo la cooperazione, in primo luogo economica, è la chiave necessaria per esercitare una sovranità europea, che, seppur condivisa, ha assunto un peso negoziale nel sistema mondiale. D’altronde, anche gli Stati Uniti sono diventati la più grande potenza occidentale soltanto dopo aver messo in comune le loro risorse, i loro debiti e le loro tasse. È il famoso “momento hamiltoniano” che ancora manca all’Europa per diventare una vera e propria federazione di stati compiuta.

Il Trattato di Maastricht da questo punto di vista ha delineato un quadro di relazioni che, nella loro complessità, hanno portato con sé notevoli vantaggi. L’unione economica ha semplificato gli scambi commerciali, stimolando la cooperazione e rafforzando la posizione internazionale della UE; attraverso la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) è possibile una maggiore coesione e coordinamento internazionale; i cittadini possono circolare liberamente e godono di diritti aggiuntivi come quello di poter vivere e lavorare in qualsiasi Paese membro. Senza dimenticare che l’adesione al sistema monetario unico e alla valuta comune, l’euro, ha rappresentato un’ancora di salvezza per il nostro Paese. Si pensi soltanto a come avrebbe potuto sopravvivere la lira alle due grandi crisi finanziarie e sociali rappresentate dal crack Lehman Brothers del 2008 e dalla recente pandemia.

L’Unione Europea è teatro di un grande esercizio democratico, ma è anche l’emblema di un ambizioso progetto di condivisione umana e culturale: la coesistenza di realtà diverse in un sistema virtuoso di collaborazione sarebbe stata difficile da pensare poco più di trent’anni fa. Ad oggi, a fronte degli scenari distruttivi che contraddistinguono la storia contemporanea, l’Unione Europea si pone come un modello di sviluppo istituzionale irreversibile e necessario. I singoli Stati europei non potrebbero infatti sopravvivere da soli alla sfida globale che vede sempre più prepotentemente nuovi attori ricoprire il ruolo di protagonisti indiscussi.

La vera sfida che l’Europa dovrà vincere è allora completare il processo di unificazione, raggiungere il suo momento hamiltoniano, attraverso la messa in comune delle risorse, dei debiti, delle tasse, creando una vera capacità fiscale con un aumento della dotazione del bilancio comunitario, per finanziare progetti e infrastrutture comuni. Per far tutto questo occorre coraggio. Quel coraggio che ebbe la classe politica europea nel 1992. Occorrerebbe, in sintesi, un nuovo spirito di Maastricht.