In Hoc Signo Vinces

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In Hoc Signo Vinces

In Hoc Signo Vinces

Le immagini rimbalzano forti, dirompenti. Si fissano nella mente. Rimangono lì a ricordarci quello che è accaduto, quello che sta accadendo in un Paese vero, di cui ci occupavamo poco, un Paese di nome Ucraina. La guerra, la sporca guerra si presenta alle porte di casa nostra. Senza chiedere permesso entra nelle nostre case, supera porte, varca muri. Fa orrore. Kiev torna ad essere un baluardo della civiltà, mentre viene colpita, ferita dalla barbarie. Come all’inizio dell’invasione del dittatore Putin. Missili lanciati da chissà dove a devastare la vita di civili, donne, bambini. Parchi giochi. Infrastrutture. La quotidianità di essere umani. Kiev, una delle capitali storiche più belle della nostra Europa, è di nuovo sotto attacco. Di nuovo chiede aiuto, si rivolge all’Occidente. Come era già accaduto nella storia passata. Perché i dittatori, quando sono all’angolo e non riescono a colpire obiettivi militari, lanciano il terrore sui civili inermi.

E’ sempre stato così, da quando le SS fecero stragi a Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, le Fosse Ardeatine. Ma per noi, cittadini della Ue, al momento il problema è un altro: risparmiare il gas, abbassare i riscaldamenti di due gradi. Costerà un maglione in più. L’economia, l’inflazione, le borse intanto continuano a scendere. C’è chi perde soldi. Per gli Ucraini il challenge è sopravvivere. Nonostante questo si susseguono i dibattiti nei salotti dei nostri talk televisivi. Persone sedute, a parlare, sentenziare, per lo più benestanti. Alcuni conosciuti. Politici o meno, ha poca importanza. Mentre nella nazione Ucraina la gente combatte e muore qui si parla. Verrebbe da dire che non funziona così. Che c’è qualcosa che non torna. Eppure in Ucraina si muore per ideali di democrazia, libertà, sovranità nazionale e non è sovranismo.

Sembra quasi banale ricordare che per questi stessi ideali hanno combattuto e sono morti i nostri nonni. L’inviato del Corriere della sera Lorenzo Cremonesi nel suo ultimo libro, “Guerra infinita”, racconta da giornalista sul campo e non nei salotti televisivi, forse è bene ricordarlo, quarant’anni di conflitti dal Medio Oriente all’Ucraina. Il suo libro inizia con le storie della Seconda guerra mondiale che i suoi nonni raccontavano a lui poco più che bambino. Gli orrori della guerra in una Italia ferita, devastata. E’ come se, pagina dopo pagina, affermasse costantemente il concetto: “Ce lo siamo dimenticati”. Sì, abbiamo dimenticato. Perché?

Facciamo rispondere una giovane donna iraniana rifugiata nel nostro paese, sentita in un convegno religioso. Alla domanda su come vede gli italiani alle prese con questa situazione rispondeva con una parola della sua lingua che il traduttore, anch’egli iraniano pronunciava in “mollaccioni”. Altra domanda: “Le donne iraniane sentono l’appoggio delle donne del nostro paese”? Un sorriso, un alzare di spalle in maniera eloquente prima di farsi seria e rispondere: “Donne , vita, libertà”. Nessuna risposta. Le donne italiane stanno forse combattendo per la leadership del Pd, perché le quote rosa “sono o non sono una riserva…”?

Intanto chissà che cosa pensano le donne in Ucraina dei nostri dibattiti. Uno dei temi per noi è rappresentato dalle sanzioni economiche, l’invio di armi. Tra mille distinguo, ipocrisie pacifiste e spinte terziste. Della serie “se la vedano loro”. E giù nuovi dibattiti, tanti dibattiti. Nell’ultimo il solito (in)esperto di turno commentava dopo che il ponte tra Crimea e Russia era stato danneggiato da un’auto bomba: “In fondo anche gli Ucraini hanno le loro colpe”. Già, colpe. Come quella di resistere ad una invasione militare sul loro territorio, di contare i loro morti, di contrattaccare. Fare da baluardo anche a difesa di paesi occidentali che una volta facevano parte del blocco sovietico e non vogliono tornare indietro, a costo della vita.

L’Italia non era pronta a questa nuova assunzione di responsabilità, forse perché non ha fatto ancora bene i conti con la storia politica recente. Viene da ricordare, l’invasione dell’Urss, i carri armati a Praga nel 1968. Un alto dirigente dell’allora PCI giustificava necessaria quell’invasione. Dopo anni qualcosa del vecchio Pci è rimasto in certe coscienze? Si è davvero trasformato negli anni, il partito che oggi si chiama PD? Certamente. Ma non tutto, non tutti. D’altra parte il borbardamento mediatico odierno non è da meno, in quanto a danni culturali. Sarebbe bello, invece di certi soloni, far parlare o anche soltanto osservare le donne, le madri ucraine con i loro figli rifugiate nel nostro Paese, carpire i loro sguardi.

Loro la guerra non la raccontano per sentito dire, l’hanno vissuta. I loro figli, mariti, compagni sono in prima linea a combattere e morire. Etica, valori. Il nostro ex presidente del consiglio Mario Draghi alla domanda di una giornalista sul perché bisognava accogliere la marea di profughi che scappavano dalla guerra nel nostro paese, ha risposto pronunciando una sola parola: “Bontà”. Bontà che non stona con determinazione.

Mai come in un momento così delicato diventa attuale la frase che dà un senso nobile all’informazione: “Il giornalismo come prima pagina della storia”. E dalla storia, anche recente si attingono gli insegnamenti. Trattare con Putin? Resistere? Allentare le sanzioni? “Non si può trattare con una tigre se la tua testa è nelle sue fauci”, ha detto alcuni anni fa un certo Winston Churchill. Il primo ministro inglese motivò così la sua opposizione totale a qualsiasi trattato con l’allora dittatore nazista. Un altro dittatore. E a chi tentennava disse: “Dobbiamo essere un popolo unito, una unità etica, storica ricca di valori che resiste che sa parlare di futuro ai propri figli. Democrazia contro dittatura. E’ l’asse portante della nostra storia, dei nostri valori occidentali”.

Ecco la posta in gioco. L’Ucraina sta pagando ancora una volta il suo tributo di sangue come è accaduto tante volte nella sua storia. Talvolta per essere un popolo libero c’è qualcosa da pagare. Un tributo infinito da pagare. La mente torna indietro di un paio di mesi fa. Ancora a Kiev. Altre immagini. Un pulmino si sta allontanando dalla città. Porta con se l’ostia consacrata dalla Chiesa di Santa Sofia. Lontano al sicuro perche la follia del mondo non la possa minacciare. Lontano dalla violenza, dalla follia dell’uomo cattivo. E’ sempre stato così per gli Ucraini attraverso i secoli di storia. Quell’ostia consacrata va messa al sicuro. Ai lati della strada che percorre quel veicolo con il suo carico prezioso centinaia, migliaia di persone ai lati della strada. Donne, ragazzi, ragazze soldato con i fucili in spalla. In silenzio. Un segno della croce prima di abbassare la testa al passaggio. Quel veicolo porta con se qualcosa per cui vale la pena di credere e lottare.

Ai lati della strada la forza di un popolo, il suo credere. Un segno di croce per dire che il male non vincerà mai. Un segno di croce prima di mettersi in ginocchio. Kiev è ancora lì sotto le bombe e i missili russo senza acqua, elettricità. Colpita come non mai con i suoi morti. Ma resiste. Forse, Oriana Fallaci davanti a tutto ciò avrebbe detto. “Anche questo rappresenta la forza dell’occidente”. In hoc signo vinces.